SPESA
Come acquistare soltanto salumi italiani al 100%: 20 domande e 20 risposte
MADE IN ITALY MA NON TROPPO
I salumi sono una delle merceologie in cui la confusione fra i veri prodotti italiani, quelli confezionati con materie 100% made in Italy e gli altri è massima. Dai medesimi salumifici, con la stessa marca e gli stessi slogan, escono ad esempio prosciutti a Denominazione d’origine protetta (Dop) e prosciutti fatti con cosce d’importazione. La differenza c’è, è enorme ma non è facile da percepire sul bancone di un supermercato. Così si continuano ad acquistare per italiani prosciutti e salami che arrivano da ogni parte d’Europa: Germania, Danimarca, Olanda, Francia. E magari, prossimamente, Cina.
La disposizione sugli scaffali non aiuta. I prodotti ottenuti da materie prime esclusivamente nazionali, sono letteralmente mischiati con quelli d’importazione. A complicare le cose c’è poi un utilizzo fuorviante del numero 100. Visto che solitamente 100% è seguito dalla dichiarazione d’origine italiana, vi sono produttori che lo impiegano per esprimere concetti che con l’italianità non c’entrano nulla.
Vale la pena di tener presente che tutte queste etichettature sono perfettamente in linea con le disposizioni vigenti, anche se l’effetto sui consumatori è fuorviante e spesso li induce in errore sull’origine.
Ecco una breve guida, sotto forma di domande e risposte, per orientarsi in questa giungla,
DOMANDA 1
È obbligatoria la dichiarazione d’origine sui salumi che si trovano in vendita in Italia?
No, per i salumifici non c’è alcun obbligo di indicare in etichetta l’origine della materia prima.
DOMANDA 2
Come mai, allora, su alcune vaschette di salumi preaffettati, l’origine della materia prima è indicata con grande evidenza?
L’etichettatura d’origine è consentita su base esclusivamente volontaria. Il salumificio che decida di adottarla per alcuni prodotti può farlo. L’evidenza che si manifesta di solito con scritte di grande dimensione e facilmente distinguibili anche a distanza, dipende dal valore percepito dai consumatori che prediligono i prodotti 100% italiani. I produttori ne sono consapevoli e fanno leva su questo atteggiamento per valorizzare il salume.
DOMANDA 3
Si può distinguere i salumi sicuramente italiani dagli altri?
Bisogna fidarsi dalla dichiarazione d’origine adottata che pur essendo volontaria, impegna il salumificio a non mentire.
DOMANDA 4
Esistono salumi prodotti con materia prima 100% italiana ma che non lo dichiarano chiaramente?
Sì, ad esempio quelli a Denominazione d’origine protetta (Dop) e alcuni a Indicazione geografica protetta (Igp).
DOMANDA 5
Perché un prodotto tutto italiano non dovrebbe dichiararlo?
Perché l’Unione europea – cui compete l’ultima parola in tema di etichettatura – ritiene implicitamente assolta la dichiarazione d’origine con l’apposizione del bollino giallo e rosso della Dop.
DOMANDA 6
E le Igp?
Con le Igp non c’è la sicurezza della materia prima italiana. Tranne qualche eccezione, quasi tutti i salumi a Indicazione geografica protetta sono prodotti con ingredienti importati. È il caso ad esempio di Bresaola, Mortadella e Speck.
DOMANDA 7
E questo com’è possibile?
Mentre le Dop devono soddisfare tre condizioni – ricetta tradizionale, materia prima rigorosamente italiana e produzione in un’area ben definita e dettagliata dal disciplinare di produzione – per le Igp sono sufficienti due di questi tre requisiti. E di solito quello non soddisfatto è proprio la provenienza nazionale dell’ingrediente primario.
DOMANDA 8
Che differenza c’è tra salumi e insaccati?
Gli insaccati sono quelli in cui le carni vengono lavorate e successivamente racchiuse in un involucro che fa da contenitore. Tradizionalmente la funzione di contenitore è svolta dall’intestino di un animale come il budello di maiale o bovino, ma vengono utilizzati anche dei budelli sintetici. L’insaccato più famoso è il salame. Ma lo sono anche la mortadella e la coppa.
I salumi non insaccati sono il risultato della lavorazione di parti intere dell’animale che non prevedono il di confezionamento, non vengono tritati e nemmeno impastati. I salumi non insaccati più famosi sono il prosciutto, lo speck, la pancetta e la bresaola.
DOMANDA 9
La presenza di bandierine tricolori e simboli che richiamino l’italianità dei salumi sugli incarti o sui vassoi dei preaffettati cosa indica?
Non indica assolutamente nulla. Men che meno sul Paese di provenienza degli ingredienti. Al massimo può significare che la fase di confezionamento è avvenuta da noi.
DOMANDA 10
E la dicitura «made in Italy»?
Anche in questo caso siamo di fronte a un equivoco. Il Made in Italy che appare spesso sui salumi in vendita nel nostro Paese, può essere tradotto letteralmente, vale a dire: fatto in Italia. Fatto nel senso di realizzato, confezionato o più propriamente trasformato da noi.
DOMANDA 11
Nei punti vendita i salumi italiani sono esposti in scaffali separati dagli altri?
Purtroppo no.
Domanda 12
Quindi è possibile trovare i salumi 100% italiani assieme a quelli di dubbia origine?
Più che possibile è molto probabile. Non sono separate nemmeno le Dop.
DOMANDA 13
Qual è, dunque, il criterio con cui vengono esposti alla vendita?
I salami con i salami, i prosciutti con i prosciutti, le mortadelle con le mortadelle e via dicendo. Questo, naturalmente, per i preaffettati.
DOMANDA 14
E al bancone, con i salumi affettati al momento?
Si può chiedere al salumiere il prodotto 100% italiano. Ma bisogna conoscerlo.
DOMANDA 15
Come si fa a riconoscere i salumi davvero italiani?
Informandosi, leggendo, visitando i siti internet dei produttori.
DOMANDA 16
Quando sulla confezione del salume non c’è scritto nulla sull’origine della materia prima, cosa significa?
Semplicemente che si tratta di prodotti confezionati a partire da materia prima importata.
DOMANDA 17
E la marca? Vi sono marche che producono soltanto salumi italiani?
Certamente. Ma bisogna essere sicuri, documentarsi.
DOMANDA 18
Perché?
Perché alcuni produttori utilizzano la medesima marca e talvolta confezioni molto simili per vendere salumi 100% italiani e altri fatti con ingredienti importati.
DOMANDA 19
Non è un comportamento ingannevole quello di confezionare prodotti fatti con materie prime importate in maniera molto simile ai salumi tutti italiani?
No. Per lo meno al momento non esiste alcuna legge, italiana o europea, che lo vieti.
DOMANDA 20
Come difendersi, allora, da queste furberie?
Non c’è altro modo se non quello di leggere con grande attenzione le etichette dei prodotti che si stanno acquistando. E informarsi su siti e blog dedicati all’alimentazione, prestando la massima attenzione alla loro attendibilità.
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PREZZI
Metano auto fino a 2 euro al kg. Ma non c’è alcun complotto
Dalla scorsa estate il prezzo alla pompa del metano per auto ha iniziato a salire. Da 0,977 euro di giugno il prezzo medio (fonte Assogasmetano.it) è salito a 1 euro nel mese di agosto e a 1,244 a settembre. E ad ottobre i rialzi sono proseguiti provocando una situazione inedita per i possessori di auto alimentate a gas naturale: fra un distributore e l’altro i prezzi variano in una forchetta che va da 0,98 fino a 2,04 euro. E sui gruppi social dedicati al tema si è scatenata una vera e proprio gara a chi la sparava più grossa. «Ci vogliono strangolare», scriveva ad esempio Antonietta, «sarà il colpo di grazia. Così ci fanno morire». Chi voglia strangolare i metanautisti non è dato sapere. Ma come in tutte le esplosioni complottiste lanciato il sasso basta poco per provocare lo tsunami a base di dietro9logia.
«È il governo che fa salire i prezzi, ho visto un cartello appeso su una pompa di metano in Emilia. Il gestore ha scritto: “Sono costretto a chiudere dopo che il governo ha aumentato i prezzi del metano”», rispondeva imbufalito Salvatore. Chiosando: «Ecco chi ci vuole morti!», aggiungendo una sequela di aggettivi irriferibili.
NON È IL GOVERNO A FARE I PREZZI
Ma non è finita qui. Antonio, che di mestiere fa il camionista e pare saperla lunga (pare soltanto, però), dice che basta poco per capire come mai il prezzo sia salito così tanto e vi siano differenze enormi da una pompa all’altra. «Chiedete alla Snam. Loro trattano tutto il metano che si vende in Italia. Non possono non saperlo». In realtà si tratta delle solite parole in libertà che alimentano però una marea di bufale, come abbiamo sperimentato in questi mesi con il Covid e i vaccini. Intanto non è il governo a stabilire i prezzi del metano. Nessun governo può farlo in nessun Paese del mondo. Le quotazioni del gas naturale sono il frutto dell’incontro fra domanda e offerta. E siccome la domanda in questi mesi eccede di molto l’offerta i prezzi salgono.
Ma dove salgono? È presto detto: sulle piattaforme internazionali dove si negozia il gas metano. La più importante della quali si trova in Olanda e si chiama TTF, acronimo che sta per Title Transfer Facility ed è l’indice di borsa del gas naturale sul mercato dei Paesi Bassi.
Ebbene i contratti negoziati sul TTF si sono impennati. Tantissimo. In un anno il costo di un megawattora equivalente (l’unità di misura utilizzata) è passato dai 15,025 euro del 12 ottobre 2020 ai 116 euro di inizio ottobre 2021, pochi giorni fa. Un rincaro impressionante, pari al 672%. E lo si capisce immediatamente guardando il grafico che pubblico qui sopra.
DA 0,90 A OLTRE 2 EURO AL CHILO. POSSIBILE?
Spiegato il motivo dei rincari non resta che affrontare l’altra pietra dello scandalo: «Com’è possibile che ci siano differenze di prezzo così grandi?», si chiedeva e mi chiedeva Fabrizio, aiutante di un gestore in Oltrepò. «Non può essere possibile», rincarava, «ci dev’essere per forza sotto qualcosa. Non puoi pagare lo stesso carburante 0,90 al chilo in una pompa e 2 euro in un’altra». E invece è possibile. Tutto dipende dal contratto sottoscritto dall’insegna o dal gestore con i fornitori di metano, come mi spiega Nicola Ventura, autore del sito Ecomotori.net, la bibbia dei metanautisti. «Le differenze di prezzo fra un distributore e l’altro si spiegano con la natura dei contratti», dice, «alcuni gestori hanno stipulato contratti a prezzo fisso con i fornitori di metano e quindi stanno pagandolo a un prezzo concordato in partenza. Altri gestori, invece, hanno sottoscritto contratti indicizzati al valore del gas naturale negoziato sulla piattaforma olandese Ttf. E quindi lo pagano molto di più».
LA SNAM NON C’ENTRA NULLA
Dunque nessun complotto. «Secondo i nostri calcoli il prezzo massimo teorico alla pompa dovrebbe attestarsi su 1,80 euro al chilogrammo per il mese di ottobre», aggiunge Ventura, «anche se credo che le quotazioni internazionali del gas naturale siano destinate a sgonfiarsi. Quindi non resta che aspettare per tornare a rifornirsi a prezzi sostenibili per le tasche di chi viaggia a metano».
Dimenticavo: la Snam non c’entra nulla con i prezzi del gas. Gestisce la rete italiana del gas, fatta dei tubi che lo trasportano e realizza anche distributori di metano ma non li gestisce, né vende metano.
PRODOTTI
Birra senza glutine ma con tanto gusto
Con l’arrivo sul mercato della Stout della Cri del Birrificio Griz, si amplia la famiglia delle scure “gluten free”.
Da qualche tempo vedo sempre più spesso sui banconi di super e ipermercati bottiglie di birra senza glutine. Alcune le ho anche acquistate e bevute e devo dire che non mi sono pentito di averlo fatto. Quasi tutte, con poche eccezioni, sono più che bevibili. Alcune non hanno nulla da invidiare alle bionde e alle scure più apprezzate.
La curiosità di capire qualcosa di più su questa nicchia di mercato che però è in rapida espansione, mi è venuta inciampando sulla notizia di una nuova entrata, La Stout della Cri del birrificio Gritz di Erbusco, Brescia, fondato nel 2015 da Claudio Gritti, è unico birrificio artigianale italiano specializzato nella produzione senza glutine. In questo caso si tratta di una birra scura, una stout appunto, privata del glutine con un processo definito «gluten removed». La nuova etichetta, ispirata a Cristina ‒ una amica di famiglia dei produttori che ha contribuito, grazie ai suoi consigli, alla crescita del birrificio – identifica una birra scura ad alta fermentazione, di 4,7 gradi. Io non l’ho ancora provata – lo farò appena la trovo in commercio – ma gli assaggiatori raccontano che i malti tostati spiccano al naso, dando profumi di caffè e un leggero sentore di cioccolato. «Il sapore, accompagnato da un amaro ben bilanciato», fa sapere il produttore, «è deciso e piacevole al palato. La birra presenta un colore tendente al marrone scuro, con una schiuma cremosa e persistente».
IL PROCEDIMENTO
La nuova stout del birrificio di Erbusco viene deglutinata. Segue cioè il tradizionale processo produttivo e solo alla fine adotta un accorgimento, con l’inserimento di un enzima, che assorbe gran parte di glutine presente. Non si tratta di un dettaglio secondario. Molte delle birre gluten free in commercio, infatti, sono fatte a partire da cereali che non contengono il glutine. Ad esempio il miglio, il riso o il mais. Una delle più famose bionde senza glutine è la Birra da Ris del birrificio svizzero Appenzeller, ma chi se ne intende ci ha segnalato puree la Brewdog Vagabond Pale Ale deglutinata al pari della Stout della Cri. L’elenco delle birre artigianali senza glutine è lungo ma non me la sento di annoiarvi.
Vi segnalo invece, fra le etichette commerciali che si trovano più facilmente nella grande distribuzione le Peroni e Moretti senza glutine. E pure la Perlembacher Free From glutine che si trova nei punti vendita Lidl. Forse la più conveniente di tutte.
Fra le birre gluten free che ho bevuto di recente ricordo la Theresianer senza glutine che mi ha colpito per la profondità di gusto e la morbidezza. Una lager non filtrata, prodotta dall’etichetta di Martino Zanetti, che conserva i caratteristici aromi di luppolo e lieviti.
Da oggetto del desiderio, quasi introvabile, le birre per celiaci stanno diventando un prodotto reperibile con facilità almeno nei grandi supermercati e negli iper. Per le bionde e le scure artigianali gluten free, invece, è quasi sempre necessario far capo direttamente al produttore.
[Foto in evidenza di Luis Wilker Perelo WilkerNet da Pixabay]
SPESA
Tre cosa da sapere per fare la spesa senza prendere la multa
Fare acquisti è diventato un affare serio. Soprattutto nei comuni situati all’interno delle zone rosse, introdotte dalle ultime disposizioni in materia di contenimento della pandemia. In pratica è consentito uscire dal proprio domicilio soltanto per comprovate esigenze oggettive, come quella di acquistare generi alimentari o beni di prima necessità. Le attività che possono continuare ad operare anche nelle zone rosse sono incluse nell’allegato 23 al Dpcm (Decreto del presidente del Consiglio dei ministri) emanato il 3 novembre 2020.
Eccole…
Alimentari e bevande venduti in ipermercati, supermercati, discount di alimentari, minimercati ed altri esercizi non specializzati |
Surgelati nella grande distribuzione e presso negozi specializzati |
Commercio al dettaglio di computer, periferiche, telefoni, attrezzature per le telecomunicazioni, elettronica di consumo, audio e video, elettrodomestici venduti in esercizi specializzati e non specializzati (dunque anche supermercati e ipermercati) |
Tabacchi, sigarette elettroniche e liquidi da inalazione |
Benzinai |
Ferramenta, vetrai, materiali da costruzione (inclusi ceramiche e piastrelle venduti in esercizi specializzati |
Sanitari (vasche da bagno, docce, saune, lavandini, bidet eccetera) |
Giardinaggio: macchine, attrezzature e prodotti venduti in esercizi specializzati |
Articoli per l’illuminazione e videosorveglianza, antifurti in esercizi specializzati |
Librerie |
Edicole |
Cartolerie e forniture per l’ufficio |
Abiti e calzature per bambini e neonati |
Giocattoli in esercizi specializzati |
Biancheria personale venduta negli esercizi specializzati |
Articoli e abbigliamento sportivo e per il tempo libero, biciclette in punti vendita specializzati |
Concessionarie auto e moto |
Officine |
Autoricambi |
Farmacie e parfarmacie |
Animali domestici e loro alimenti venduti in esercizi specializzati |
Fioristi |
Profumerie |
Erboristerie |
Ottici |
Combustibili per riscaldamento |
Saponi, detersivi e prodotti per la casa |
Banchi dei mercati dedicati alla vendita di alimentari e bevande; ortofrutticoli, pesci e crostacei, fiori, piante, bulbi e fertilizzanti, profumi e cosmetici, saponi, detersivi e altri detergenti; biancheria; confezioni e calzature per bambini e neonati |
Commercio online di qualsiasi prodotto non compreso nelle categorie precedenti |
PICCOLI COMUNI
Ma se questi sono gli esercizi che possono rimanere aperti – e sono davvero tanti – c’è un particolare importante che né il decreto e neppure le circolari del Ministero dell’Interno chiariscono: qualora nel comune dove si risiede non sia aperto nessuno di questi esercizi, ci si può spostare? In quale misura? E per acquistare cosa? Un libro, ad esempio non rientra nella categoria dei «beni di prima necessità», dunque se nel proprio comune di residenza non ci fosse alcuna libreria, lo si può ordinare soltanto via internet. Stesso ragionamento per computer, profumi, prodotti per il fai da te, biancheria personale, fiori, alimenti per animali. Giusto per fare alcuni esempi.
Sabato 14 novembre 2020, però, il governo ha aggiornato sul proprio sito internet (Governo.it) l’elenco delle domande e delle risposte dedicate agli interrogativi più frequenti sulla materia di spostamenti nella zone rosse e arancioni. In quest’ultimo caso decade il vincolo di spostamento solo in caso di necessità, ma permane quello di restare entro il comune di residenza.
TERRITORIO «CONTIGUO»
C’è, in particolare, un quesito e relativa risposta, che modifica la questione, anche se non chiarisce fino in fondo cosa sia lecito fare e cosa, invece, resti vietato. Eccolo:
DOMANDA: posso fare la spesa in un Comune diverso da quello in cui abito?
Gli spostamenti verso Comuni diversi da quello in cui si abita sono vietati, salvo che per specifiche esigenze o necessità.
RISPOSTA: fare la spesa rientra sempre fra le cause giustificative degli spostamenti. Laddove quindi il proprio Comune non disponga di punti vendita o nel caso in cui un Comune contiguo al proprio presenti una disponibilità, anche in termini di maggiore convenienza economica, di punti vendita necessari alle proprie esigenze, lo spostamento è consentito, entro tali limiti, che dovranno essere autocertificati.
Dunque ci si può spostare dal comune in cui si ha la residenza ai comuni confinanti. Ad esempio per recarsi in un supermercato più grande oppure in un discount, dove si possano trovare gli stessi prodotti ma a prezzi inferiori. È consentito l’attraversamento di un solo confine comunale, a meno che lo spostamento non sia per necessità. E qui l’elenco è decisamente lungo. Da una visita medica, all’acquisto di prodotti ritenuti indispensabili, ad esempio le comuni lampadine, fino all’intervento in una officina autorizzata all’assistenza sulla propria autovettura.
PRIMA NECESSITÀ
Tutto sta nell’interpretare correttamente l’espressione «beni di prima necessità». Le lampadine rientrano in questa categoria di prodotti, una scaffalatura di sicuro no. Un romanzo neppure, ma un testo di scuola sì. Al pari di un modem per sostituire quello in uso che si sia guastato oppure i pellet per alimentare la stufa.
L’importante è compilare meticolosamente l’autocertificazione indicando nello spazio riservato alla dichiarazione il motivo dello spostamento e il prodotto che si desideri acquistare. Attenzione che non vale la regola «di già che ci sono, oltre alla lampadina acquisto la scaffalatura», visto che resta l’obbligo di spostarsi fuori dal territorio comunale sono per le compere indispensabili.
Questa limitazione genera una serie di situazioni paradossali. Innanzitutto gli abitanti dei piccoli centri, sforniti quasi del tutto di attività commerciali, sono tagliati fuori da numerosi acquisti. A meno che non li facciano su Internet. Contemporaneamente i grandi ipermercati che si trovano quasi sempre in posizione molto decentrata rispetto ai centri urbani maggiori, a mano che non sorgano in un comune confinante con quello più grande, sono condannati a vendere poco o nulla. Ecco perché il governo dovrebbe arricchire l’elenco delle domande con relative risposte, pubblicate sul proprio sito web, inserendo anche queste situazioni.
Riassumendo ecco le tre cose da sapere per evitare di essere sanzionati. Anche perché le multe vanno da 400 a 1.000 euro. Ma se lo spostamento al di fuori del proprio comune avviene in auto o in moto, l’oblazione può aumentare di un terzo, quindi da 532 euro a 1.330 euro.
LE TRE REGOLE D'ORO DEL CASALINGO DI VOGHERA
Spostarsi fuori dal proprio comune solo per i prodotti di prima necessità |
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Verificare se nei comuni confinanti con il proprio si vende quel che si sta cercando |
Compilare l'autocertificazione indicando chiaramente i beni che si vogliono acquistare |
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