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PRODOTTI

Birra senza glutine ma con tanto gusto

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birra scura
Con l’arrivo sul mercato della Stout della Cri del Birrificio Griz, si amplia la famiglia delle scure “gluten free”.

Da qualche tempo vedo sempre più spesso sui banconi di super e ipermercati bottiglie di birra senza glutine. Alcune le ho anche acquistate e bevute e devo dire che non mi sono pentito di averlo fatto. Quasi tutte, con poche eccezioni, sono più che bevibili. Alcune non hanno nulla da invidiare alle bionde e alle scure più apprezzate.

birra La Stout della Cri

La Stout della Cri

La curiosità di capire qualcosa di più su questa nicchia di mercato che però è in rapida espansione, mi è venuta inciampando sulla notizia di una nuova entrata, La Stout della Cri del birrificio Gritz di Erbusco, Brescia, fondato nel 2015 da Claudio Gritti,  è unico birrificio artigianale italiano specializzato nella produzione senza glutine. In questo caso si tratta di una birra scura, una stout appunto, privata del glutine con un processo definito «gluten removed». La nuova etichetta, ispirata a Cristina ‒ una  amica di famiglia dei produttori che ha contribuito, grazie ai suoi consigli, alla crescita del birrificio – identifica una birra scura ad alta fermentazione, di 4,7 gradi. Io non l’ho ancora provata – lo farò appena la trovo in commercio –  ma gli assaggiatori raccontano che i malti tostati spiccano al naso, dando profumi di caffè e un leggero sentore di cioccolato. «Il sapore, accompagnato da un amaro ben bilanciato», fa sapere il produttore, «è deciso e piacevole al palato. La birra presenta un colore tendente al marrone scuro, con una schiuma cremosa e persistente».

IL PROCEDIMENTO

La Birra da Ris

La nuova stout del birrificio di Erbusco viene deglutinata. Segue cioè  il tradizionale processo produttivo e solo alla fine adotta un accorgimento, con l’inserimento di un enzima, che assorbe gran parte di glutine presente. Non si tratta di un dettaglio secondario. Molte delle birre gluten free in commercio, infatti, sono fatte a partire da cereali che non contengono il glutine. Ad esempio il miglio, il riso o il mais. Una delle più famose bionde senza glutine è la Birra da Ris del birrificio svizzero Appenzeller, ma chi se ne intende ci ha segnalato puree la Brewdog Vagabond Pale Ale deglutinata al pari della Stout della Cri. L’elenco delle birre artigianali senza glutine è lungo ma non me la sento di annoiarvi.

Vi segnalo invece, fra le etichette commerciali che si trovanobirre Peroni Perlenbacher Moretti più facilmente nella grande distribuzione le Peroni  e Moretti senza glutine. E pure la Perlembacher Free From glutine che si trova nei punti vendita Lidl. Forse la più conveniente di tutte.

Fra le birre gluten free che ho bevuto di recente ricordo la Theresianer senza glutine che mi ha colpito per la profondità di gusto e la morbidezza. Una lager non filtrata, prodotta dall’etichetta di Martino Zanetti, che conserva i caratteristici aromi di luppolo e lieviti.

Da oggetto del desiderio, quasi introvabile, le birre per celiaci stanno diventando un prodotto reperibile con facilità almeno nei grandi supermercati e negli iper. Per le bionde e le scure artigianali gluten free, invece, è quasi sempre necessario far capo direttamente al produttore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Foto in evidenza di Luis Wilker Perelo WilkerNet da Pixabay]
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PAGELLE

Ora la pasta 100% italiana si trova in tutti i supermercati

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Su internet si moltiplicano gli elenchi «definitivi» che snocciolano i produttori di pasta 100% italiana. Quella fatta soltanto con farina di grano duro coltivato nel Belpaese. Il più aggiornato di questi elenchi è sicuramente quello da Ilfattoalimentare.it. Ma c’è una novità importante per i consumatori che vogliano portare a tavola maccheroni davvero italiani senza diventare matti. Dopo Voiello, noto marchio Barilla, fatto esclusivamente con grano Aureo italiano, altre due marche che rientrano nella top 10 delle paste più vendute, si sono convertite alla materia prima nazionale. Si tratta di Agnesi e La Molisana. Due brand di peso, anche se Barilla e De Cecco, da sole, fanno la parte del leone in un mercato molto frammentato come quello dell’alimento tradizionale italiano.

Se si eccettuano i discount, ora è quasi impossibile non trovare sui banconi di super e ipermercati spaghetti, penne, o tortiglioni autenticamente italiani. Fra l’altro a prezzi che sono concorrenziali rispetto a molte altre paste origine Ue e non Ue. Ma andiamo con ordine. La svolta va raccontata tutta.

L’unico brand 100% made in Italy nella classifica delle 10 paste più vendute nel nostro Paese è stato a lungo Voiello. Un ottimo prodotto, venduto a un prezzo accessibile e fin troppo spesso sottoposto a offerte con sconti fino al 40 e addirittura al 50%, Ma la multinazionale di Parma – che fra l’altro ha delocalizzato la produzione dei maccheroni in mezzo mondo (qui l’articolo in cui lo racconto) – non ha mai spinto troppo sull’origine italiana della materia prima. Forse temendo che ne potesse risentire il marchio di gran lunga principale, di casa. Barilla appunto.

Fino a pochi anni or sono le paste 100% italiane si potevano contare sulle dita di una mano. Armando, Voi, Ghigi, Girolomoni. E Voiello, naturalmente. Da poche settimane, però, due marchi storici della nostra industria pastaria si sono convertiti all’origine interamente italiana. Agnesi e La Molisana.

«Solo i migliori grani italiani, perché la qualità comincia dal grano»

Recita così lo slogan che campeggia da qualche settimana sul sito internet della Agnesi. Ma è leggendo la spiegazione del claim che si capisce la portata della conversione della marca che fa capo al gruppo Colussi.

Il nostro è stato un lungo viaggio, siamo partiti con il veliero dalla Liguria nel 1824 per selezionare i grani migliori per la nostra pasta. Abbiamo attraversato oceani, esplorato i Paesi più remoti ed elevato la nostra esperienza ma alla fine il cammino ci ha ricondotti qui, in Italia, dove abbiamo trovato i migliori ingredienti da utilizzare: i nostri grani duri.

Questa dichiarazione, fra l’altro, smentisce clamorosamente il teorema con cui i grandi pastai hanno giustificato da decenni la scelta di importare dall’estero la materia prima. Vale a dire la scarsa qualità dei cereali italiani. A leggere sul sito Agnesi.it l’elenco delle varietà di frumento duro tricolore caricati nella stiva del veliero Agnesi c’è di che essere orgogliosi della nostra cerealicoltura: Iride, Anco Marzio, Alemanno, Emilio Lepido, Saragolla, Claudio, Creso, Duilio, Colosseo, Avispa, Sancarlo, Simeto, Virgilio, Chiara. Ognuno descritto nei componenti che lo rendono adatto alla pastificazione: l’indice di glutine e il grado proteico.

 

Le nuove confezioni della pasta Agnesi 100% grano duro italiano sono completamente diverse da quelle che le hanno precedute. Le ultime hanno un fondo dominante blu con scritte bianche e dorate. Torna, fra l’altro l’immagine del veliero storico di casa Agnesi, che nelle confezioni precedenti, interamente bianche, era stato stilizzato su uno sfondo rosso. Il nuovo packaging sfoggia anche un nastrino tricolore, questa volta messo a proposito, mentre sulla linea precedente – che dichiarava origine Ue e non Ue – era decisamente fuori luogo.

La differenza cromatica è netta e bisogna stare attenti perché sono tuttora in commercio (fine settembre 2018) numerosi lotti di pasta Agnesi della vecchia linea, anche se ritengo che si esauriscano nel giro di poche settimane.

La Molisana: «Solo grano italiano»

Così recita il nuovo claim del pastificio di Contrada Colle della Api, in provincia di Campobasso. Un marchio storico della tradizione italiana che ha da poco festeggiato il secolo di vita. Come le altre due marche, anche i maccheroni prodotti dalla famiglia Ferro hanno il grande pregio di essere presenti pure loro nella maggior parte di super e ipermercati. E anche in questo caso la scelta del vero made in Italy punta alla qualità. Come spiega Giuseppe Ferro, amministratore delegato della società: «La qualità della pasta dipende direttamente dall’origine del grano – dice – e per rispondere al desiderio dei consumatori, abbiamo investito molto in ricerca per trovare i semi italiani migliori e con un contenuto proteico fino al 17%, che ci permettessero di continuare a creare un prodotto che rispecchiasse il nostro ideale di eccellenza della pasta». Il progetto ha coinvolto 1450 agricoltori sparsi nel centro-sud della penisola, per la precisione in Molise, Puglia, Marche, Lazio e Abruzzo.

Con ciascun agricoltore l’azienda ha firmato un accordo di filiera nel 2016 e in due anni ha quintuplicato i volumi di grano duro italiano acquistato: da 10.000 a 50.000 tonnellate su una superficie coltivata di 11.600 ettari.

Qui sotto elenco i prezzi che ho rilevato per le tre marche di pasta nelle tre catene nazionali sulla piazza di Voghera, Grande i, Coop ed Esselunga. Come si vede i valori delle marche fatte con frumento nazionale sono molto vicini al valore mediano fra il prezzo più alto e quello più basso. Si tratta di prezzi per le confezioni da 500 grammi che naturalmente nel tempo possono cambiare e quindi hanno un valore puramente indicativo.

pasta italiana

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ETICHETTE

Chicchi tricolori e marchi di fantasia: com’è difficile scegliere il riso italiano

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Chicchi tricolori, marchi di fantasia, scudetti, bollini d’origine: com’è difficile scegliere il riso italiano! Sono esattamente quattro anni che mi diverto a censire i prodotti made in Italy, distinguendoli dei finti e dai falsi. Mai però mi era capitato di imbattermi in una tale selva di simboli e dichiarazioni d’origine diverse. Fortunatamente il riso d’importazione che arriva sulle nostre tavole è relativamente poco: i flussi in entrata dall’Estremo Oriente, provenienti soprattutto da Birmania e Cambogia, sono di Indica, un riso a chicco lungo e stretto che da noi si usa pochissimo. In Italia siamo abituati a mangiare quasi esclusivamente riso Japonica con i chicchi tozzi e molto più corti. 

Il riso Indica a chicco lungo. Sopra la varietà Japonica

Il riso Indica a chicco lungo. Sopra la varietà Japonica

La casalinga di Voghera, anzi, il Casalingo di Voghera, però, è alla ricerca dei cibi italiani e non si sottrae certo alla tentazione di leggere attentamente l’etichetta. Privilegiando i prodotti più trasparenti. Quelli di cui è possibile individuare chiaramente il Paese d’origine e lo stabilimento di confezione. Con il riso, anche se quello straniero è relativamente poco, è maledettamente difficile capire da dove arrivi. Innanzitutto perché i simboli grafici utilizzati per identificarne l’origine sono a di poco eterogenei. Assieme alla dichiarazione generica «riso italiano», a volte associata al tricolore altre volte no, compaiono numerosi loghi. Uno diverso dall’altro. C’è innanzitutto quello dell’Ente Nazionale Risi: tre chicchi parzialmente sovrapposti, uno verde, il secondo bianco e il terzo rosso, nella sequenza della bandiera, accompagnati dalla scritta “Riso italiano”. Poi ci sono altri loghi che utilizzano il medesimo soggetto, il chicco del cereale bianco, ma lo interpretano diversamente, colorando col tricolore la singola cariosside. È il caso, ad esempio della Scotti. E non è finita: ci sono anche produttori che appongono il marchio “100% riso italiano”, accompagnato da un nastro tricolore, come la Coop ad esempio. Un simbolo che secondo l’Unione europea è fuori legge perché indica la cosiddetta «origine preferenziale».

L’insieme di questi loghi finisce per disorientare il consumatore che non sa più quale attesti veramente l’origine. Al Casalingo di Voghera viene anche un sospetto: se alcuni produttori indicano l’origine italiana del prodotto, nelle confezioni che non la riportano ci sarà per caso riso d’importazione? Chissà. Il dubbio rimane.

prezzi-punteggi-risoComplessivamente ho recensito 34 confezioni diverse di cereale bianco, acquistate presso i supermercati di Voghera, Coop, Esselunga, Gulliver, Iper. E le ho classificate in base a una matrice destinata a valutare quattro elementi essenziali dell’etichetta: leggibilità, trasparenza, rintracciabilità del produttore e tracciabilità del prodotto. Per ogni fattore di valutazione ho poi stabilito un punteggio. Da 0 a 2 per la leggibilità, da -1 a +2 per la trasparenza, da 0 a 3 per la rintracciabilità, da 0 a 3 per la tracciabilità. Alla fine ho messo in fila le 34 confezioni, classificandole in base ai punteggi ottenuti con le valutazioni della matrice. Qui sopra potete vedere il risultato.

Per rendere più leggibile la tabella ho attribuito a ciascun prodotto un punteggio (rating) da 0 a 5. Nello slideshow che compare in fondo alla pagina potete vedere il risultato. A punteggio pieno, con 5 stelle su 5, c’è solo il Riso Carnaroli marca Voi, Valori Origine Italia, un cobranding tra Coldiretti e Iper. Il riso Voi, oltre ad avere la certificazione di prodotto Csqa, riporta sulla confezione perfino il nome dell’agricoltore che ha seminato e raccolto il riso contenuto nella confezione. Nel caso della scatola che ho acquistato si tratta di Gianandrea Sala.

Il Riso Voi sarà il primo a entrare nella speciale sezione del sito “Scelti dal Casalingo di Voghera”, dove recensirò i prodotti di qualità e origine sicura, riconoscibili come italiani dai consumatori.

Nello slideshow in fondo alla pagina trovate tutte le elaborazioni.

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PAGELLE

Le pagelle alle marche di pasta più acquistate dagli italiani

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Tricolori, nastri, coccarde, scudetti: a guardare i banconi dedicati alla pasta nei supermercati verrebbe da credere che la maggior parte delle confezioni contengano spaghetti, penne e tortiglioni italianissimi. Sfortunatamente non è così. Anzi, la stragrande maggioranza della pasta che gli italiani consumano è ottenuta a partire da grano duro d’importazione. Soprattutto canadese e ucraino. Ma di tutto questo i consumatori non sanno nulla. O quasi. Per fortuna rispetto a tre, quattro anni or sono, in commercio si trovano linee di pasta che si fanno identificare come italiane al 100%. Oltre alle Igp (Indicazione geografica protetta), che cominciano ad essere numerose, storici marchi del settore come Voiello assieme ad alcune catene della grande distribuzione e a piccoli produttori locali, propongono prodotti a filiera trasparente e garantita. In questo caso, a differenza dell’olio extravergine d’oliva, non c’è alcuna norma che vincoli il produttore a dichiarare l’origine della materia prima utilizzata, dunque c’è da presumere che, ove non sia indicata, si tratti di maccheroni che di italiano possono avere al massimo la confezione.
A scanso di equivoci è sempre bene leggere con la massima attenzione le etichette. Ed è quel che ho fatto, vestendo i panni del Casalingo di Voghera e acquistando le marche più note di pasta, in commercio nei punti vendita della città nota per gli omonimi peperoni (ecco il link dove si racconta com’è stata salvata la varietà autoctona data ormai per scomparsa). Per una volta mi sono permesso il lusso di assegnare anche dei voti alle etichette che ho censito, in tutto 25. Non ho certo la pretesa di coprire l’intero settore. Ci mancherebbe. Si tratta di un campione rappresentativo dei brand che possono finire nel carrello della spesa di una qualunque casalinga italiana.

punteggi-pasta-CdV

 

Per attribuire i voti alle diverse marche ho utilizzato una griglia che tiene conto di quattro criteri: leggibilità, trasparenza, tracciabilità della filiera e rintracciabilità del produttore. Per ciascuno ho stabilito dei punteggi. I voti della leggibilità, ad esempio, vanno dallo 0 attribuito alle etichette poco o per nulla leggibili, al 2 per quelle chiare e leggibili in ogni parte. Non vi tedio con l’elenco completo dei punteggi: lo potete vedere da  una delle immagini che compaiono nello slideshow in testa al post. Qui sotto la tabella riassuntiva con tutti i dati che ho rilevato: prezzo, peso, proteine e via dicendo. Ecco cosa è emerso.
PREZZO E PROTEINE. Mettendo su uno stesso grafico i prezzi della pasta e il loro contenuto di proteine ho fatto una scoperta interessante: non c’è una relazione diretta fra le due variabili. La Voiello, che costa un euro e 28 centesimi al chilogrammo e si colloca nella parte bassa della curva, ha il contenuto di proteine più alto, 14,5 grammi ogni 100. La Voiello, marchio di proprietà della Barilla, incidentalmente è una delle paste confezionate a partire da grano Aureo coltivato esclusivamente in Sicilia. Dunque è 100% italiana.
IL MADE IN ITALY NON COSTA DI PIU’. Ma i dati che ho raccolto smentiscono una bufala gigantesca, utilizzata spesso dalla grande industria alimentare per giustificare la scelta di approvvigionarsi all’estero di materie prime. I prodotti tutti italiani non costano più degli altri. Anzi, anche includendo le paste a indicazione d’origine – nel nostro caso la Rigorosa di Gragnano, Grano Armando e la Fiorfiore Coop di Gragnano – ben 7 sulle 10 più care non sono fatte a partire da materia prima nazionale. La prossima volta che qualcuno vi racconta  che i prodotti 100% made in Italy sono troppo costosi siete autorizzati a dargli del bugiardo.
SOLTANTO SEI PROMOSSE. E veniamo ai voti. Tra le 25 marche che ho censito, appena 6 meritano la promozione: Fiorfiore Gragnano Igp Coop, Grano Armando, 100% Italia Coop, Voi (una comakership Iper-Coldiretti), Rigorosa di Gragnano e Voiello. Tre sono le «rimandate», per la precisione  Barilla, Il gusto del grano ed Esselunga. Le altre hanno preso voti non superiori al 4. In taluni casi il punteggio basso è dovuto anche alla scarsa leggibilità delle etichette, tanto che per decodificarle sono ricorso a una lente d’ingrandimento. E siccome escludo che i consumatori la portino con sé al momento di fare la spesa, è come se mettessero nel carrello un prodotto totalmente opaco anziché trasparente.

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