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RICETTE

L’Oltrepò Pavese nel piatto in 148 ricette tradizionali

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Una mattina di primavera all’edicola di Salice Terme, ottimamente condotta dall’amico Pieraugusto Camatti. Fra le poche mete raggiungibili in questi giorni, per il Casalingo di Voghera, alle prese con la labirintite. Nei dieci minuti di autonomia che la malattia di Ménière mi concede, noto un libro che mi incuriosisce. S’intitola Ricettario tradizionale di Voghera e dell’Oltrepò Pavese (270 pagine, 18 euro) ed è firmato da Elisabetta Balduzzi, titolare a Voghera della centralissima Libreria Ticinum e dallo scrittore Guido Conti, assieme a Mario Maffi, enologo e grande conoscitore dei vini locali.tamburino libro

Il volume, pubblicato due anni or sono per i tipi della Libreria Ticinum Editore, è ben curato e offre una selezione vastissima di piatti della tradizione locale, abbinati ai vini del territorio. Alle 148 ricette vere e proprie si aggiunge un capitolo dedicato ai formaggi tipici, poco conosciuti perfino da chi vive in questa terra, dal Caprino Erborinato dell’azienda agricola Il Boscasso di Ruino al Tomino Stagionato di vacca varzese, una vera rarità, sapientemente confezionato dall’azienda agricola Lino Verardo a San Ponzo, a due passi da Ponte Nizza. Nella «mia» Valle Staffora.

Il ricettario: ce n’è per tutti i gusti

Le ricette sono davvero tantissime e spaziano dagli antipasti fino ai dolci, mettendo in campo sia i prodotti autoctoni sia specialità non propriamente oltrepadane. Come nel caso del merluzzo con l’uvetta. I piatti della tradizione si legano al contrario con le produzioni agricole che punteggiano questo lembo di Lombardia sotto al fiume Po. Fra i piatti assolutamente imperdibili segnalo la Schita, una focaccia contadina preparata con farina, acqua e sale da friggere in padella con l’olio, magari quello di noci ampiamente utilizzato delle popolazioni locali fini ai primi decenni del secolo scorso. Altra specialità intimamente legata alla tradizione locale sono i malfatti, gnocchi verdi a base di spinaci, farina bianca e ricotta, divenuti Deco (Denominazione comunale d’origine) grazie a Giampaolo Monastero, titolare di Riva del Gusto a Rivanazzano Terme. Irrinunciabili pure la minestra di riso e cime di luppolo selvatico (in dialetto mnèstra d’riš cuj vârtiš), insaporita con lardo e burro e gli gnocchi di zucca Berrettina.

Fra le verdure segnalo l’insalata con la cipolla rossa di Breme (chi non l’ha mai assaggiata non sa cosa si perde!) servita assieme a fagioli borlotti e tonno. Fra i secondi piatti il collo di gallina ripieno.

Il risotto alla vogherese coi peperoni

Il posto d’onore lo riserverei però al risotto ai peperoni di Voghera (rišot cuj püvron d’Vughérâ) una ricetta che solo da qualche anno possiamo assaporare nella versione più fedele al piatto storico. Da quando cioè è stato «riscoperto» e coltivato nuovamente il peperone di Voghera, varietà di cui si erano perse le tracce dopo gli anni Cinquanta (una storia che mi riprometto di raccontare presto). La preparazione è semplice, il segreto sta tutto nel peperone: se non è della varietà vogherese tanto vale rinunciare in partenza a cucinarlo. Quello originale, di colore verde tendente al giallino limone nella fase della completa maturazione, ha buccia sottilissima che lo rende infinitamente più digeribile rispetto al «cugino» comune e con un profumo intenso e delicato assieme, ed è capace di conferire al risotto un’aroma inconfondibile. Pubblico qui sotto la ricetta tratta dal volume. ricetta-peperone-di-voghera-RR

Il Paniere pavese, c’è ma non si vede

Infine un cenno al «Paniere pavese», che compare nel libro soprattutto sotto forma di logo a punteggiare le specialità candidate a entrare nella famiglia dei prodotti della tradizione alimentare locale. Un progetto voluto dal presidente della Provincia di Pavia Daniele Bosone ma mai decollato veramente. Sul Web se ne trovano tracce labilissime e approssimative (come questa di Logo_Paniere_PaveseVisitpavia.it). Potremmo essere però a una svolta: ho parlato con l’architetto Filippo Chiesa Ricotti, assessore all’Agricoltura del comune di Dorno e da poco presidente dell’Associazione paniere pavese, che mi ha annunciato a breve la pubblicazione online di un portale sul tema. Appena sarà accessibile tornerò a parlarne.

 

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RICETTE

L’amatriciana diventa una Specialità tradizionale garantita

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amatriciana

La Commissione europea ha accolto la domanda di registrazione dell’amatriciana come Specialità tradizionale garantita, Stg in sigla. Il testo della richiesta è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Ue il 20 novembre 2019.

Lo pubblico integralmente perché contiene precisi riferimenti alla ricetta e agli ingredienti. In realtà manca ancora un passaggio ufficiale. La pubblicazione della domanda conferisce a chiunque di opporsi alla registrazione della Stg, entro tre mesi da quando è stata pubblicata. Non credo però che qualcuno abbia qualcosa da dire.

DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DI UNA SPECIALITÀ TRADIZIONALE GARANTITA
«AMATRICIANA TRADIZIONALE»

1.   NOME DA REGISTRARE
«Amatriciana Tradizionale»

2.   TIPO DI PRODOTTO
Classe 2.21 Piatti pronti

3.   MOTIVI DELLA REGISTRAZIONE
Il carattere tradizionale dell’«Amatriciana Tradizionale» è legato agli ingredienti impiegati e al metodo specifico di preparazione utilizzato tradizionalmente nel comprensorio dei Monti della Laga, dai quali la preparazione trae origine.
L’«Amatriciana Tradizionale» nelle sue tipologie (salsa per condimento immediato e salsa per condimento differito) viene utilizzata per il condimento della pasta.
Il nome «Amatriciana Tradizionale» è utilizzato per indicare una preparazione alimentare ottenuta secondo il metodo di produzione/ricetta secolare del comprensorio di Amatrice e l’impiego di specifici ingredienti (pomodoro, guanciale) che ne determinano le proprie caratteristiche. L’«Amatriciana Tradizionale», di fama internazionale, è reputata senza che la regione geografica in cui è fabbricata incida sulla sua qualità e le sue caratteristiche.

4.   DESCRIZIONE
L’«Amatriciana Tradizionale» è una preparazione alimentare che all’atto dell’immissione al consumo si presenta nelle seguenti tipologie:
• salsa per condimento immediato;
• salsa per condimento differito.

L’«Amatriciana Tradizionale» all’atto dell’immissione al consumo presenta le seguenti caratteristiche organolettiche:
– colore: rosso più o meno intenso;
– aspetto del prodotto: cremoso e omogeneo con passata di pomodoro granulosa e/o con polpa densa con pezzi di pomodoro distinguibili;
– sapore: tipico di pomodoro maturo accompagnato da note sapide legate alla presenza del tradizionale guanciale stagionato e di peperoncino e/o pepe essiccato o fresco;
– odore: caratteristico del pomodoro maturo, tipico del prodotto fresco;
– contenuto in grassi: non inferiore a 15 g/100 g (esclusivo per la tipologia salsa per condimento differito).

INGREDIENTI OBBLIGATORI
Gli ingredienti tradizionalmente impiegati per la realizzazione dell’«Amatriciana Tradizionale», sul totale del prodotto finito, sono:
Guanciale del tipo Amatriciano dal 18 al 30 %. Il guanciale utilizzato per la preparazione dell’«Amatriciana Tradizionale» si ottiene dalla guancia fresca di suino pesante rifilata a forma di triangolo partendo dalla gola e presenta le seguenti caratteristiche:
– forma: a triangolo con base arrotondata;
– colore: bianco screziato rosso all’interno, con prevalenza della parte grassa sulla parte magra;
– stagionatura: minimo 30 giorni dalla salatura.
Olio extravergine di oliva: da 0,5 a 1 per cento.
Passata di pomodoro e/o pomodori pelati in pezzi (Polpa) dal 69 all’81 per cento.
La passata di pomodoro utilizzata per la preparazione dell’«Amatriciana tradizionale» presenta le seguenti caratteristiche organolettiche:
– colore: rosso tipico del pomodoro maturo, Metodo Gardner a/b > 2,00;
– sapore: tipico di pomodoro maturo, gradevolmente acido, esente da retrogusti e/o sapori estranei;
– odore: caratteristico del pomodoro maturo, tipico del prodotto fresco, esente da odori estranei;
– aspetto: omogeneo con granulosità dipendente dal tipo di setaccio scelto;
– raffinazione: presenza di bucce e semi in quantità naturale;
– Brix > 8,0 a 20 °C, Zuccheri Invertiti > 50. Non è ammessa l’aggiunta di acidificanti.
I pomodori pelati a pezzi (polpa) utilizzati per la preparazione dell’«Amatriciana tradizionale» presentano le seguenti caratteristiche organolettiche:
– colore: rosso tipico del pomodoro maturo, Metodo Gardner a/b > 1,90;
– sapore: tipico di pomodoro maturo, gradevolmente acido, esente da retrogusti e/o sapori estranei;
– odore: caratteristico del pomodoro maturo, tipico del prodotto fresco, esente da odori estranei;
– aspetto: polpa densa con pezzi distinguibili;
– Brix > 7,0 a 20 °C, Zuccheri Invertiti > 48. Non è ammessa l’aggiunta di acidificanti.
Sale q.b.
Vino bianco q.b.
Peperoncino (essiccato o fresco) e/o di pepe: q.b.

INGREDIENTI CONSIGLIATI
Pecorino del tipo Amatriciano o Pecorino Romano DOP del Lazio grattugiato.
Il pecorino del tipo Amatriciano, ottenuto con latte ovino fresco, si caratterizza per:
– forma: cilindrica a facce piane;
– colore della pasta: da bianco a paglierino;
– stagionatura: minimo 6 mesi.

L’«Amatriciana Tradizionale» a differenza di altre salse analoghe non prevede l’impiego di ingredienti quali aglio, cipolla o pancetta utilizzati nella maggior parte dei condimenti/salse per pasta.

METODO DI ELABORAZIONE DEL PRODOTTO (RICETTA)
La preparazione dell’«Amatriciana Tradizionale» deve avvenire solo ed esclusivamente con l’impiego e le quantità degli ingredienti di cui al punto 4. Sono previsti esclusivamente i due seguenti metodi di produzione.

Salsa per condimento immediato
Far rosolare in una padella o pentola, a fuoco basso nell’olio extravergine di oliva, il guanciale, precedentemente ben nettato dalla cotica e tagliato a listarelle.
La rosolatura deve avvenire fino a quando non si è consumata la «schiuma» prodotta dal guanciale stesso; successivamente si aggiunge il vino bianco.
Una volta che le listarelle di guanciale hanno raggiunto una coloritura giallo-dorato, queste devono essere tolte dalla padella o pentola e conservate a parte in un altro recipiente. Nella stessa padella o pentola in cui sono state cucinate le listarelle di guanciale si versano la passata di pomodoro e/o la polpa di pomodori, il sale, il peperoncino fresco o essiccato e/o il pepe. Si fa cuocere a fuoco vivo per 10 – 20 minuti da inizio bollitura, finché non si raggiunge lo stato cremoso. A questo punto si aggiungono le listarelle di guanciale precedentemente rosolate e si termina la cottura per altri 5 – 10 minuti.

Salsa per condimento differito
Rosolare nell’olio extravergine di oliva, in un idoneo recipiente per cottura, il guanciale, precedentemente ben nettato dalla cotica e tagliato a listarelle.
La rosolatura deve avvenire fino a quando non si è consumata la «schiuma» prodotta dal guanciale stesso; successivamente si aggiunge il vino bianco.
Una volta che le listarelle di guanciale hanno raggiunto una coloritura giallo-dorato, si versa la passata di pomodoro e/o la polpa di pomodori, il sale, il peperoncino fresco o essiccato e/o il pepe. Si fa cuocere finché non si raggiunge lo stato cremoso. A questo punto la salsa viene versata nei recipienti per alimenti, chiusi ermeticamente e sottoposti a idoneo trattamento termico ed etichettatura.
La salsa di cui sopra destinata al condimento differito può essere surgelata all’origine.
La salsa pronta per consumo differito di «Amatriciana Tradizionale» STG deve essere confezionata ed etichettata in idonei recipienti per alimenti fino a 5 kg.
Per entrambe le tipologie, a completamento del condimento del piatto di pasta con l’«Amatriciana Tradizionale» è consigliato l’uso di pecorino del tipo Amatriciano o Pecorino Romano DOP del Lazio grattugiato.
La natura e le caratteristiche degli ingredienti utilizzati, oltre al tradizionale processo produttivo, conferiscono all’«Amatriciana Tradizionale» quelle peculiarità univoche che tendono a esaltare il sapore sapido del guanciale stagionato, unito al formaggio pecorino, la cui ricetta ha radici nella storia sociale ed economica del territorio Amatriciano dal quale trae origine.

CARATTERE TRADIZIONALE DEL PRODOTTO
L’«Amatriciana Tradizionale» vanta una spiccata tradizionalità e specificità in considerazione degli ingredienti impiegati, del metodo specifico di preparazione ed anche delle peculiari caratteristiche sociali ed economiche del comprensorio dei Monti della Laga, dai quali la preparazione trae origine.
In particolare l’impiego di guanciale stagionato traspone nell’«Amatriciana Tradizionale» la relazione che ha caratterizzato per secoli il rapporto dell’uomo con un territorio difficile: in passato i pastori locali, nel periodo di transumanza (che li costringeva lontani da casa per un periodo di 4 – 5 mesi, generalmente da maggio a settembre) portavano con sé, per il loro sostentamento, alcuni prodotti di facile e prolungata conservabilità quali, appunto, il guanciale e la farina.
Con questi semplici ingredienti i pastori condivano e cucinavano con una padella di ferro dal lungo manico il loro frugale e sostanzioso piatto unico di pastasciutta.
Rielaborando ed arricchendo questa elementare preparazione pastorale e con l’introduzione del pomodoro intervenuta all’inizio del 1800, la popolazione di Amatrice ha dato vita ad uno dei piatti più conosciuti della tradizione italiana.
Infatti, quando alla fine del 1700 i Napoletani, tra i primi in Europa, riconobbero i grandi pregi organolettici del pomodoro, anche gli Amatriciani, che ricadevano nella giurisdizione del Regno di Napoli fin dal XIII secolo, ebbero modo di apprezzarlo e con felice intuizione l’aggiunsero al guanciale stagionato che ha reso così succulenta una salsa per la pasta la cui fama ha varcato i confini nazionali per affermarsi anche nella cucina internazionale.
La diffusione del sugo all’Amatriciana si ebbe nell’Ottocento da parte di molti amatriciani emigrati a Roma, la maggior parte dei quali aveva trovato occupazione nella ristorazione e nelle rivendite di generi alimentari della loro terra. Tra la fine del 1700 e gli inizi del 1800 la comunità degli «osti» Amatriciani a Roma aveva una sua importanza specialmente per quanto riguarda la cucina economica e popolare.
La pasta alla «Amatriciana Tradizionale» (tradizionalmente spaghetti o bucatini, ma anche pasta corta) è, nel mondo, il piatto per eccellenza della cucina italiana. Per la preparazione di questo prodotto si è sempre utilizzato il guanciale e mai la pancetta; è proprio l’uso del guanciale, con un maggior apporto di grasso, a determinare il caratteristico e distintivo gusto intenso e sapido della salsa.

La ricetta è descritta e censita nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali, i Pat, della Regione Lazio.

RIFERIMENTI STORICI

Nel libro «Strenna dei Romanisti – Natale di Roma» del 1983 Editrice Roma Amor, a pag. 175, viene dedicato un paragrafo all’Amatriciana Tradizionale: «…il nome di questo delizioso piatto, legato ai fasti della buona tavola romana…un bravo cuoco amatriciano residente a Roma, ideò una salsa composta tra l’altro, di guanciale (che, come si sa, ha il connettivo più resistente della ventresca di maiale, caratteristica queste, propria del condimento) e di pomodoro…che ha un gradevole sapore agro-dolce, che si mantiene anche dopo la cottura. Sono questi i particolari salienti, oltre all’aggiunta del formaggio di pecorino romano…».

Nel 1980 Lorenzetti R. e Marinelli R. ne Il ciclo del maiale in Sabina, Brads, estr. n. 9, pagg. 40 e 41, Cagliari, 1980, scrivono che il guanciale, ricavato dal sottomento del maiale, salato e conservato al fresco come il lardo, è il segreto del sugo con cui ad Amatrice e nei dintorni si condiscono gli spaghetti divenuti famosi nel mondo.

Nella poesia di Carlo Baccari apparsa su Abruzzo oggi n. 40, settembre/ottobre 1984, dal titolo «La pasta amatriciana», il poeta esalta gli ingredienti tradizionali quali il guanciale e la salsa di pomodoro elogiando il maiale dal quale deriva il guanciale e la salsa che con il suo gusto stupì la gente che l’assaggiò, si riporta il seguente estratto: «…e tra gli armenti, da magica mano, nascesti gioiosa nel modo più strano: la pecora mite e il bravo maiale…donarono insieme formaggio e guanciale. Dal rude secchiello, discese bollente, la salsa che fece, stupir quella gente. Ti volle il pastore, così saporita, e sempre, nel mondo, sei tu preferita».

Livio Jannattoni nel suo La cucina romana e del Lazio del 1998 riporta il guanciale e il pomodoro tra gli ingredienti del condimento per la preparazione della ricetta degli spaghetti all’Amatriciana divulgata dalla Pro loco di Amatrice: «Ingredienti per 5 o 6 persone: 500 gr di spaghetti, 125 gr di guanciale, un cucchiaio di olio di oliva extravergine, un goccio di vino bianco secco, 6-7 pomodori San Marzano (o 400 gr di pelati), un pezzetto di peperoncino, 100 gr di pecorino grattugiato, sale. Mettete in padella, preferibilmente di ferro, l’olio, il peperoncino, ed il guanciale tagliato a pezzetti…».

Gli ingredienti della ricetta tradizionale dell’Amatriciana sono raffigurati anche nel francobollo ordinario della serie Made in Italy emesso nell’agosto 2008 dalla Repubblica Italiana, dedicato alla Sagra degli Spaghetti all’Amatriciana, e sono citati nella ricetta della «Salsa all’Amatriciana» riconosciuta nel 2005 come Prodotto Tradizionale dal Mipaaft (GU 174 del 28.7.2005).

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RICETTE

Mille e una ricetta del risotto alla vogherese. Tutte diverse, tutte sbagliate

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Non esiste una ricetta ufficiale, riconosciuta come l’unica possibile, per cucinare il risotto alla vogherese. Non c’è perché finora a nessuno è venuto in mente di conferirle ufficialità. Ad esempio con il riconoscimento della DeCo, la Denominazione comunale di origine. Una distrazione – e nemmeno la più grave – in materia di tradizioni alimentari. Per valorizzare i prodotti unici e distintivi del territorio bisogna percepirne l’importanza, valutarne il potenziale di promozione, magari in una prospettiva di marketing territoriale.

La questione, fra l’altro, si intreccia strettamente con quella del vero Peperone di Voghera DeCo, detto anche «peperone bianco di Voghera», in riferimento al colore molto sbiadito, un verdino chiarissimo tendente al giallo, che lo distingue in maniera inequivocabile dal peperone ibrido che si trova in commercio. E le differenze non sono soltanto di forma, colore e dimensione, ma anche se non soprattutto organolettiche. Il Peperone di Voghera DeCo non è piccante ma dolce. Non brucia la lingua come accade con le solanacee dai colori sgargianti che hanno conquistato il mercato, dalle bancarelle di paese fino agli scaffali della grande distribuzione. Quello vogherese è delicato e immensamente più digeribile.

FURTO DI IDENTITÀ

Non è un caso se il risotto alla vogherese sia divenuto così famoso e apprezzato. Fatto con la varietà originale di peperoni di Voghera DeCo si rivela un piatto molto raffinato, dal gusto profondo ma rispettoso degli altri aromi. Quello del riso, e pure quello del Grana (parlo del Padano Dop) che gli conferisce il tocco finale.

Mi sono divertito a fare una ricerca sul web e ho censito una quindicina di ricette del «risotto alla vogherese». Tutte, tranne un paio, non menzionano neppure il Peperone di Voghera DeCo. E c’è davvero un po’ di tutto. Dal risotto peperone e gorgonzola fino a quello col mascarpone.

Paradossale, poi, che sul sito ufficiale del Comune di Voghera, alla pagina dedicata alla gastronomia, si legga:

«Il risotto con i peperoni, cioè un riso soffritto nel burro e sfumato con vino bianco, a cui vengono aggiunti peperoni crudi, il tutto portato a cottura con brodo caldo, invece si lega ad un’altra parte importante della gastronomia vogherese: quella dell’impiego del riso».

Il risotto con i peperoni?  Quali peperoni? Scritto così può significare soltanto una cosa: qualunque peperone va bene. Certo, qualche riga sotto lo svagato compilatore della pagina aggiunge:

«La fama della bontà dei peperoni di Voghera e la tradizionale preparazione hanno fatto da volano alla sua (del risotto alla vogherese) fortuna culinaria al di qua e al di là del Po».

Ma ancora non ci siamo. Il vero peperone di Voghera è una DeCo. E la denominazione corretta è: Peperone di Voghera DeCo. Solo così lo si identifica con l’originale. Fra l’altro, sempre sul portale di Voghera, esiste l’elenco ufficiale elle Denominazioni comunali d’origine. Purtroppo, anche in questo secondo contesto, manca la denominazione completa. Un po’ come se sulla scheda ufficiale del Consorzio del Prosciutto di Parma Dop, dovesse scomparire proprio l’indicazione Dop. Sempre nella medesima pagina, si cita la «Cipolla di Voghera» – naturalmente sottinteso DeCo – mentre in commercio si trova la Cipolla dorata di Voghera Deco. Qual sarà la denominazione corretta?

TROPPA GRAZIA, NON È UNA DOP!

E non manca neppure chi, forse in un eccesso di entusiasmo, attribuisce addirittura la Dop (Denominazione di origine protetta) alla solanacea vogherese. È il caso del sito Ricettiamo.it che scrive:

«Il risotto con i peperoni di Voghera è un piatto tipico della bassa Lombardia che esalta il sapore di questo tipico ortaggio della città di Voghera, il peperone bianco Dop».

Pietro Bolognesi, presidente della Confraternita del risotto

L’unica nota veramente positiva nella carrellata di siti e portali che si occupano del risotto alla vogherese è l’utilizzo del riso Carnaroli, che si produce appena a nord del Po, sia nel Pavese sia in Lomellina. Qualora si volesse legare indissolubilmente la ricetta al territorio si potrebbe addirittura utilizzare il Carnaroli da Carnaroli Pavese, uno dei pochi veri Carnaroli in commercio. E c’è poi da registrare la fondazione della Confraternita del Peperone di Voghera DeCo, ad opera di Pietro Bolognesi, presidente della Confraternita del Risotto che di recente ha presentato proprio quella che potrebbe essere la ricetta originale del risotto alla vogherese. Mi riprometto di parlarne presto, anche perché sono stato chiamato a far parte del sodalizio per la valorizzazione della solanacea originale. E ho accettato molto volentieri.

Ecco cosa si dice sui siti di cucina…

Originalitaly.it
Nessuna menzione del Peperone di Voghera DeCo.
Riso Carnaroli
[link]

Hobbyecreativita.altervista.org
Peperone di Voghera menzionato ma senza citare la DeCo
Riso Carnaroli
[link]

Igorgorgonzola.com
Nessuna menzione al Peperone di Voghera DeCo
Con Gorgonzola
Riso Carnaroli
[link]

Lericettedibubu.blogspot.com
Nessuna menzione del Peperone di Voghera DeCo
Riso Vialone Nano
[link]

Apranzoconbea.blogspot.com
Nessuna menzione del Peperone di Voghera DeCo
Riso Carnaroli
[link]

Ricettiamo.info
Nessuna menzione del Peperone di Voghera DeCo
Riso Vialone Nano
[link]

Cucinareverdure.it
Nessuna menzione del Peperone di Voghera DeCo
[link]

Visitporiver.net
Menzionato il «peperone bianco di Voghera» ma non la DeCo
Risi della Lomellina
Con Gorgonzola
[link]

Ildeborino-busybee.blogspot.com
Nessuna menzione del Peperone di Voghera DeCo
Riso Carnaroli ma utilizzato il Vialone Nano (da Sale e Pepe)
[link]

Provinciadipavia.com
Nessuna menzione del Peperone di Voghera DeCo
[link]

Panperfocaccia.eu
Nessuna menzione del Peperone di Voghera DeCo
Riso Carnaroli
[link]

Icviandantevoghera.it
Nessuna menzione del Peperone di Voghera DeCo
[link]

Lalomellina.it
Nessuna menzione del Peperone di Voghera DeCo
Riso Carnaroli
[link]

Ricettiamo.info
Peperone bianco di Voghera Dop
[link]

Evasionidigustoblog.wordpress.com
Peperone rosso di Voghera (che non c’è)
[link]

Comune.voghera.pv.it
Si parla genericamente di «peperoni»!
[link]

Blog.giallozafferano.it
Si parla di una «ricetta originale» ma non del peperone di Voghera DeCo
[link]

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RICETTE

La schita di Voghera, un alimento da riscoprire e valorizzare

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schita dell'Oltrepò Pavese

La schita di Voghera è sicuramente fra le specialità tradizionali che meriterebbero una sorte ben diversa da quella che la storia gastronomica ha riservato loro. Per chi non la conoscesse si tratta di una frittella fatta con ingredienti poveri: farina, acqua, sale e olio per friggere o strutto. In pratica una crêpe suzette senza uovo, anche se fra le innumerevoli ricette pubblicate, qualcuna – sbagliando – lo prevede.

Il metodo di preparazione è semplice, a prova di analfabeta dei fornelli, ma fare una schita buona non è facile come si potrebbe pensare. Il segreto sta nell’impasto e nella cottura che avviene in padella, ad alta temperatura e con tempi precisi. Ma andiamo con ordine.

UN PO’ DI STORIA (MA NON TROPPO)

Le origini della focaccina dell’Oltrepò si perdono nella notte dei tempi. C’è chi la fa risalire le prime tracce della preparazione a un periodo fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Più o meno negli anni in cui gli eserciti di Napoleone Bonaparte cambiavano il volto politico e sociale dell’Europa. Ma secondo alcune fonti la ricetta verrebbe addirittura dal Neolitico, anche se la base sarebbe stata la farina di farro e di orzo.

In epoche ben più recenti, segnatamente negli ultimi due secoli, la povertà degli ingredienti avrebbe condannato la schita d’la nòna (letteralmente: la schita della nonna) a restare fra le preparazioni talmente popolari da non meritare neppure una citazione nei testi della cucina classica italiana. Ma questa condanna all’oblio è stata ampiamente riscattata nell’ultimo decennio grazie ai social media che ne propongono infinite varianti, accompagnate talvolta pure da ricette illustrate. Come quella pubblicata dal noto portale Giallozafferano.it.

IL RISULTATO FINALE

schita

La schita di Giallozzafferano.it

Come sempre, a decretare la riuscita della preparazione è il risultato finale. E a vedere le immagini della schita che si trovano sul web, è lecito farsi venire il dubbio che ciascuno la interpreti a modo suo. E questo, in cucina, non va bene. Ma forse è semplicemente la sorte che tocca ai cibi meno blasonati.

Il prodotto finito, dev’essere sottilissimo e va mangiato subito, appena cotto. A differenza della piadina romagnola, la frittella dell’Oltrepò non ha una vita lunga lontano dai fornelli. Prima si mangia meglio è.

LA RICETTA

schita

Un’altra versione della schita

Il metodo di preparazione è lineare, ma non per questo scontato. Innanzitutto si versano 150 grammi di farina di grano tenero in una terrina e si bagnano con l’acqua: 30 centilitri dovrebbero bastare. Se fosse troppa basta aggiungere una manciata di farina. L’importante è che l’impasto sia consistente ma fluido al punto da essere versato con un mestolo nella padella. A questo punto serve un pizzico di sale. Poco, però. L’impasto si ottiene con una comunissima frusta da cucina. È bene impastare parecchio per sciogliere gli eventuali grumi che potrebbero pregiudicare la qualità della frittella. C’è anche chi aggiunge un cucchiaino da caffè di olio extravergine per rendere più elastico l’impasto. Fate voi.

E ORA IN PADELLA

A questo punto è arrivato il momento di versare il risultato delle nostre fatiche nella padella che dev’essere rovente e unta con strutto oppure olio d’oliva. La mestolata di impasto deve essere versata in maniera uniforme, in modo da ottenere un disco sottile. L’ideale è versare l’impasto senza soluzione di continuità, muovendo in cerchio il mestolo di cui si utilizza la parte inferiore per stenderlo uniformemente nella padella. Basta meno di un minuto per far assumere alla schita una consistenza tale da poterla capovolgere, sempre in padella, per cuocerla su ambo i lati. Quando assume una colorazione dorata – attenti a non farla bruciare – è pronta per essere impiattata.

LE (INFINITE) VARIANTI

Rispetto alla ricetta classica ci sono numerose varianti, anche se personalmente eviterei di elaborare troppo la preparazione per non snaturare il prodotto finito. La più nota di tutte è la schita dolce che si ottiene banalmente aggiungendo una spolverata di zucchero appena impiattata. Giallozafferano.it, nel blog La cucina di Lice la propone con tre uova intere e mezza bustina di vanillina, cospargendo la superficie in uscita dalla padella con zucchero a velo.

Da bambino ho mangiato spesso la schita dolce, anche se ora la preferisco assieme ai salumi locali dell’Oltrepò, il Salame di Varzi Dop o la Mundiöla di Montesegale.

Ecco comunque gli ingredienti…

  • 150 grammi di farina
  • 30 centilitri di acqua
  • un pizzico di sale fino
  • due cucchiai di strutto o di olio d’oliva leggero
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