Connect with us

SPESA

Come comperare la carne italiana: 20 domande per riconoscerla sui banconi

Pubblicato

il

Una breve guida, sotto forma di domande e risposte, per riconoscere e acquistare soltanto la carne italiana.

Domanda 1
Per la carne è obbligatoria la dichiarazione d’origine?
Sì, è obbligatoria, ma non per tutti i tipi di carne.

Domanda 2
Per quali lo è?
Per le carni bovine, suine, ovine, capire e avicole. Dunque, oltre che per il pollo, anche per anatre, oche, faraone e tacchini.

Domanda 3
A livello di etichettatura c’è qualche differenza?
Sì. Mentre la carne bovina deve dichiarare il Paese di nascita, quello di allevamento e quelli dov’è avvenuta la macellazione e il sezionamento, gli altri tipi di carne possono limitare le diciture al Paese di allevamento e a quello macellazione, senza riportare null’altro.

Domanda 4
Quali sono invece le varietà di carni escluse dall’indicazione d’origine obbligatoria?
Le carni di cavallo, coniglio e lepre.

Domanda 5
Dunque l’etichetta della carne bovina è la più ricca di informazioni. Come si legge?
Le quattro informazioni obbligatorie devono comparire in un ordine preciso: Paese di nascita, Paese di allevamento, Paese di macellazione e Paese di sezionamento. Per essere sicuri che la carne sia di un bovino allevato da noi, il nome Italia deve comparire almeno 3 volte. Se compare 4 volte significa che il capo è pure nato in Italia. Per evitare sorprese accertatevi sempre che l’ordine sia quello corretto, indicato nel facsimile di etichetta che compare qui a lato.

Domanda 6
Sulle etichette della carne capita però di leggere anche altre informazioni. Sono attendibili?
Il Regolamento Ue 1760 del 2000 ha introdotto anche la possibilità di fornire altre informazioni, definite facoltative, purché «oggettive e verificabili» e  supportate lungo tutta la filiera (mangimificio, allevamento, macello, sezionamento, punto vendita) da un disciplinare di etichettatura facoltativa, approvato dal Ministero delle politiche agricole e soprattutto controllato da organismi di certificazione terzi, in grado di accertare la veridicità di queste informazioni aggiuntive rispetto a quelle obbligatorie.

Domanda 7
Quali sono le informazioni volontarie ammesse?
 il nome dell’allevatore e l’indirizzo dell’azienda di allevamento;
• la razza o il tipo genetico, l’età ed il sesso del bovino;
• la denominazione di vitellone (bovino maschio macellato prima dei 24 mesi);
• la denominazione di sorana o scottona (manza che non ha figliato);
• il sistema di allevamento (benessere animale, riduzione del farmaco);
• il tipo di alimentazione con cui l’allevatore ha nutrito il bovino (ad esempio Ogm free).

Domanda 8
L’obbligo di indicare l’origine scatta per tutte le forme in cui la carne viene venduta?
No. L’etichetta d’origine è obbligatoria soltanto per le carni vendute fresche, surgelate, congelate oppure macinate. 

Domanda 9
E in tutti gli altri casi?
Per le carni utilizzate nelle preparazioni alimentari non sussiste alcun obbligo. Ad esempio per le polpette a base di carne oppure, per i rollati, la carne in scatola come per le insalate di pollo, chi le confeziona o le vende  non è obbligato a indicare la provenienza della materia prima.

Domanda 10
E al ristorante?
Nei menu di ristoranti, pizzerie, tavole calde ed esercizi pubblici in genere non è obbligatorio indicare la provenienza della carne. Se però sono indicate le Razze  – ad esempio: Chianina, Piemontese o Marchigiana – e la carne è di altra provenienza ci può stare la frode in commercio. L’onere della prova. però, spetta all’avventore.

Domanda 11
A parte le diciture previste nell’etichettatura obbligatoria, la carne italiana si può distinguere facilmente dalla carne importata, sui banconi del supermercato?
Purtroppo no. Nella stragrande maggioranza, la carne italiana prodotta in Italia si distingue soltanto leggendo attentamente l’etichetta e non sempre c’è la certezza che sia stata allevata per almeno 5 mesi in Italia.

Domanda 12
Nei punti vendita della grande distribuzione è previsto che la carne italiana venga separata da quella d’importazione?
Purtroppo no. Succede invece l’esatto contrario: sui banconi le carni d’importazione sono sempre mischiate a quelle italiane. Così, per i consumatori non è immediato distinguerle.

Domanda 13
Qual è la proporzione fra carne italiana e carne importata?
Circa il 50% delle carni che consumiamo in Italia arriva dall’estero. Quindi un vassoio su due di quelli che si trovano al supermercato contiene un prodotto straniero.

Domanda 14
Il prezzo di vendita è un buon indicatore per capire a prima vista se si tratti di carne importata?
Di solito sì. Le carni vendute a prezzi notevolmente più bassi rispetto alle nostre sono solitamente d’importazione.

Domanda 15
Perché costano meno?
Perché in Italia abbiamo un sistema di allevamento che non ha eguali. La differenza di costo e dunque anche di prezzo, è legata ad alcune caratteristiche uniche:
• la frequenza e qualità dei controlli sanitari lungo tutta la filiera, che da noi sono stringenti;
• la qualità e certificazione delle materie prime utilizzate nell’alimentazione;
• il rispetto del benessere animale;
• i costi per la macellazione e il sezionamento che da noi sono più alti per effetto del rigoroso rispetto delle norme e dei controlli;
• i diritti del personale impiegato lungo tutto la filiera, negati in molti altri Paesi, perfino nella “evoluta” Germania.

Domanda 16
E la carne con la marca, come accade per esempio con il pollo?
Anche per le carni vale il medesimo discorso che funziona per il resto degli alimenti: marca italiana non significa prodotto di origine italiana. Dunque, occhio sempre all’etichetta!

Domanda 17
Esistono carni a indicazione geografica?
Sì. Non sono molte ma ci sono. Eccole:
• Agnello di Sardegna Igp;
• Agnello del Centro Italia Igp;
• Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp (Chianina, Marchigiana, Romagnola);
• Vitellone Piemontese dalla coscia Igp;
• Abbacchio Romano Igp;
• Cinta Senese Dop (suino).

Domanda 18
Oltre a Dop e Igp, esistono loghi che permettano di identificare facilmente e con sicurezza la carne italiana?
Sì. Dal 28 febbraio 2018 è entrato in funzione il Consorzio Sigillo Italiano, riconosciuto con Decreto dal Ministero delle politiche agricole e sta partendo anche il Consorzio Qualità Verificata, due marchi che consentiranno ai consumatori di distinguere facilmente la carne prodotta in Italia.

Domanda 19
E cosa attesta il Sigillo Italiano?
Che i bovini sono stati allevati in Italia nel rispetto dei disciplinari di produzione del “Vitellone e/o Scottona ai cereali”, del “Fassone di Razza Piemontese” e del “Bovino Podolico al Pascolo”, riconosciuti dal Ministero delle Politiche agricole e dalla Commissione europea.

Domanda 20
E se sulla confezione della carne dovesse comparire soltanto la bandiera italiana, senza altra indicazione?
Purtroppo il tricolore, da solo, non attesta nulla, così come la presenza di toponimi italiani nel logo o nella marca del produttore.

RIPRODUZIONE RISERVATA ©

 

Commenti

PREZZI

Metano auto fino a 2 euro al kg. Ma non c’è alcun complotto

Pubblicato

il

Dalla scorsa estate il prezzo alla pompa del metano per auto ha iniziato a salire. Da 0,977 euro  di giugno il prezzo medio (fonte Assogasmetano.it) è salito a 1 euro nel mese di agosto e a 1,244 a settembre. E ad ottobre i rialzi sono proseguiti provocando una situazione inedita per i possessori di auto alimentate a gas naturale: fra un distributore e l’altro i prezzi variano in una forchetta che va da 0,98 fino a 2,04 euro. E sui gruppi social dedicati al tema si è scatenata una vera e proprio gara a chi la sparava più grossa. «Ci vogliono strangolare», scriveva ad esempio Antonietta, «sarà il colpo di grazia. Così ci fanno morire». Chi voglia strangolare i metanautisti non è dato sapere. Ma come in tutte le esplosioni complottiste lanciato il sasso basta poco per provocare lo tsunami a base di dietro9logia.

«È il governo che fa salire i prezzi, ho visto un cartello appeso su una pompa di metano in Emilia. Il gestore ha scritto: “Sono costretto a chiudere dopo che il governo ha aumentato i prezzi del metano”», rispondeva imbufalito Salvatore. Chiosando: «Ecco chi ci vuole morti!», aggiungendo una sequela di aggettivi irriferibili.

NON È IL GOVERNO A FARE I PREZZI

Ma non è finita qui. Antonio, che di mestiere fa il camionista e pare saperla lunga (pare soltanto, però), dice che basta poco per capire come mai il prezzo sia salito così tanto e vi siano differenze enormi da una pompa all’altra. «Chiedete alla Snam. Loro trattano tutto il metano che si vende in Italia. Non possono non saperlo». In realtà si tratta delle solite parole in libertà che alimentano però una marea di bufale, come abbiamo sperimentato in questi mesi con il Covid e i vaccini. Intanto non è il governo a stabilire i prezzi del metano. Nessun governo può farlo in nessun Paese del mondo. Le quotazioni del gas naturale sono il frutto dell’incontro fra domanda e offerta. E siccome la domanda in questi mesi eccede di molto l’offerta i prezzi salgono.

Ma dove salgono? È presto detto: sulle piattaforme internazionali dove si negozia il gas metano. La più importante della quali si trova in Olanda e si chiama TTF, acronimo che sta per Title Transfer Facility ed è l’indice di borsa del gas naturale sul mercato dei Paesi Bassi.

prezzo metano all'ingrosso

Ebbene i contratti negoziati sul TTF si sono impennati. Tantissimo. In un anno il costo di un megawattora equivalente (l’unità di misura utilizzata) è passato dai 15,025 euro del 12 ottobre 2020 ai 116 euro di inizio ottobre 2021, pochi giorni fa. Un rincaro impressionante, pari al 672%. E lo si capisce immediatamente guardando il grafico che pubblico qui sopra.

DA 0,90 A OLTRE 2 EURO AL CHILO. POSSIBILE?

 

Nicol Venura

Nicola Ventura

Spiegato il motivo dei rincari non resta che affrontare l’altra pietra dello scandalo: «Com’è possibile che ci siano differenze di prezzo così grandi?», si chiedeva e mi chiedeva Fabrizio, aiutante di un gestore in Oltrepò. «Non può essere possibile», rincarava, «ci dev’essere per forza sotto qualcosa. Non puoi pagare lo stesso carburante 0,90 al chilo in una pompa e 2 euro in un’altra». E invece è possibile. Tutto dipende dal contratto sottoscritto dall’insegna o dal gestore con i fornitori di metano, come mi spiega Nicola Ventura, autore del sito Ecomotori.net, la bibbia dei metanautisti. «Le differenze di prezzo fra un distributore e l’altro si spiegano con la natura dei contratti», dice, «alcuni gestori hanno stipulato contratti a prezzo fisso con i fornitori di metano e quindi stanno pagandolo a un prezzo concordato in partenza. Altri gestori, invece, hanno sottoscritto contratti indicizzati al valore del gas naturale negoziato sulla piattaforma olandese Ttf. E quindi lo pagano molto di più».

metano prezzi alla pompa

 

LA SNAM NON C’ENTRA NULLA

Dunque nessun complotto. «Secondo i nostri calcoli il prezzo massimo teorico alla pompa dovrebbe attestarsi su 1,80 euro al chilogrammo per il mese di ottobre», aggiunge Ventura, «anche se credo che le quotazioni internazionali del gas naturale siano destinate a sgonfiarsi. Quindi non resta che aspettare per tornare a rifornirsi a prezzi sostenibili per le tasche di chi viaggia a metano».

Dimenticavo: la Snam non c’entra nulla con i prezzi del gas. Gestisce la rete italiana del gas, fatta dei tubi che lo trasportano e realizza anche distributori di metano ma non li gestisce, né vende metano.

Continua a leggere

PRODOTTI

Birra senza glutine ma con tanto gusto

Pubblicato

il

birra scura
Con l’arrivo sul mercato della Stout della Cri del Birrificio Griz, si amplia la famiglia delle scure “gluten free”.

Da qualche tempo vedo sempre più spesso sui banconi di super e ipermercati bottiglie di birra senza glutine. Alcune le ho anche acquistate e bevute e devo dire che non mi sono pentito di averlo fatto. Quasi tutte, con poche eccezioni, sono più che bevibili. Alcune non hanno nulla da invidiare alle bionde e alle scure più apprezzate.

birra La Stout della Cri

La Stout della Cri

La curiosità di capire qualcosa di più su questa nicchia di mercato che però è in rapida espansione, mi è venuta inciampando sulla notizia di una nuova entrata, La Stout della Cri del birrificio Gritz di Erbusco, Brescia, fondato nel 2015 da Claudio Gritti,  è unico birrificio artigianale italiano specializzato nella produzione senza glutine. In questo caso si tratta di una birra scura, una stout appunto, privata del glutine con un processo definito «gluten removed». La nuova etichetta, ispirata a Cristina ‒ una  amica di famiglia dei produttori che ha contribuito, grazie ai suoi consigli, alla crescita del birrificio – identifica una birra scura ad alta fermentazione, di 4,7 gradi. Io non l’ho ancora provata – lo farò appena la trovo in commercio –  ma gli assaggiatori raccontano che i malti tostati spiccano al naso, dando profumi di caffè e un leggero sentore di cioccolato. «Il sapore, accompagnato da un amaro ben bilanciato», fa sapere il produttore, «è deciso e piacevole al palato. La birra presenta un colore tendente al marrone scuro, con una schiuma cremosa e persistente».

IL PROCEDIMENTO

La Birra da Ris

La nuova stout del birrificio di Erbusco viene deglutinata. Segue cioè  il tradizionale processo produttivo e solo alla fine adotta un accorgimento, con l’inserimento di un enzima, che assorbe gran parte di glutine presente. Non si tratta di un dettaglio secondario. Molte delle birre gluten free in commercio, infatti, sono fatte a partire da cereali che non contengono il glutine. Ad esempio il miglio, il riso o il mais. Una delle più famose bionde senza glutine è la Birra da Ris del birrificio svizzero Appenzeller, ma chi se ne intende ci ha segnalato puree la Brewdog Vagabond Pale Ale deglutinata al pari della Stout della Cri. L’elenco delle birre artigianali senza glutine è lungo ma non me la sento di annoiarvi.

Vi segnalo invece, fra le etichette commerciali che si trovanobirre Peroni Perlenbacher Moretti più facilmente nella grande distribuzione le Peroni  e Moretti senza glutine. E pure la Perlembacher Free From glutine che si trova nei punti vendita Lidl. Forse la più conveniente di tutte.

Fra le birre gluten free che ho bevuto di recente ricordo la Theresianer senza glutine che mi ha colpito per la profondità di gusto e la morbidezza. Una lager non filtrata, prodotta dall’etichetta di Martino Zanetti, che conserva i caratteristici aromi di luppolo e lieviti.

Da oggetto del desiderio, quasi introvabile, le birre per celiaci stanno diventando un prodotto reperibile con facilità almeno nei grandi supermercati e negli iper. Per le bionde e le scure artigianali gluten free, invece, è quasi sempre necessario far capo direttamente al produttore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Foto in evidenza di Luis Wilker Perelo WilkerNet da Pixabay]
Continua a leggere

SPESA

Tre cosa da sapere per fare la spesa senza prendere la multa

Pubblicato

il

Fare acquisti è diventato un affare serio. Soprattutto nei comuni situati all’interno delle zone rosse, introdotte dalle ultime disposizioni in materia di contenimento della pandemia. In pratica è consentito uscire dal proprio domicilio soltanto per comprovate esigenze oggettive, come quella di acquistare generi alimentari o beni di prima necessità. Le attività che possono continuare ad operare anche nelle zone rosse sono incluse nell’allegato 23 al Dpcm (Decreto del presidente del Consiglio dei ministri) emanato il 3 novembre 2020.

Eccole…

Alimentari e bevande venduti in ipermercati, supermercati, discount di alimentari, minimercati ed altri esercizi non specializzati
Surgelati nella grande distribuzione e presso negozi specializzati
Commercio al dettaglio di computer, periferiche, telefoni, attrezzature per le telecomunicazioni, elettronica di consumo, audio e video, elettrodomestici venduti in esercizi specializzati e non specializzati (dunque anche supermercati e ipermercati)
Tabacchi, sigarette elettroniche e liquidi da inalazione
Benzinai
Ferramenta, vetrai, materiali da costruzione (inclusi ceramiche e piastrelle venduti in esercizi specializzati
Sanitari (vasche da bagno, docce, saune, lavandini, bidet eccetera)
Giardinaggio: macchine, attrezzature e prodotti venduti in esercizi specializzati
Articoli per l’illuminazione e videosorveglianza, antifurti in esercizi specializzati
Librerie
Edicole
Cartolerie e forniture per l’ufficio
Abiti e calzature per bambini e neonati
Giocattoli in esercizi specializzati
Biancheria personale venduta negli esercizi specializzati
Articoli e abbigliamento sportivo e per il tempo libero, biciclette in punti vendita specializzati
Concessionarie auto e moto
Officine
Autoricambi
Farmacie e parfarmacie
Animali domestici e loro alimenti venduti in esercizi specializzati
Fioristi
Profumerie
Erboristerie
Ottici
Combustibili per riscaldamento
Saponi, detersivi e prodotti per la casa
Banchi dei mercati dedicati alla vendita di alimentari e bevande; ortofrutticoli, pesci e crostacei, fiori, piante, bulbi e fertilizzanti, profumi e cosmetici, saponi, detersivi e altri detergenti; biancheria; confezioni e calzature per bambini e neonati
Commercio online di qualsiasi prodotto non compreso nelle categorie precedenti

PICCOLI COMUNI

Ma se questi sono gli esercizi che possono rimanere aperti – e sono davvero tanti – c’è un particolare importante che né il decreto e neppure le circolari del Ministero dell’Interno chiariscono: qualora nel comune dove si risiede non sia aperto nessuno di questi esercizi, ci si può spostare? In quale misura? E per acquistare cosa? Un libro, ad esempio non rientra nella categoria dei «beni di prima necessità», dunque se nel proprio comune di residenza non ci fosse alcuna libreria, lo si può ordinare soltanto via internet. Stesso ragionamento per computer, profumi, prodotti per il fai da te, biancheria personale, fiori, alimenti per animali. Giusto per fare alcuni esempi.

Sabato 14 novembre 2020, però, il governo ha aggiornato sul proprio sito internet (Governo.it) l’elenco delle domande e delle risposte dedicate agli interrogativi più frequenti sulla materia di spostamenti nella zone rosse e arancioni. In quest’ultimo caso decade il vincolo di spostamento solo in caso di necessità, ma permane quello di restare entro il comune di residenza.

TERRITORIO «CONTIGUO»

C’è, in particolare, un quesito e relativa risposta, che modifica la questione, anche se non chiarisce fino in fondo cosa sia lecito fare e cosa, invece, resti vietato. Eccolo:

DOMANDA: posso fare la spesa in un Comune diverso da quello in cui abito?
Gli spostamenti verso Comuni diversi da quello in cui si abita sono vietati, salvo che per specifiche esigenze o necessità.

RISPOSTA: fare la spesa rientra sempre fra le cause giustificative degli spostamenti. Laddove quindi il proprio Comune non disponga di punti vendita o nel caso in cui un Comune contiguo al proprio presenti una disponibilità, anche in termini di maggiore convenienza economica, di punti vendita necessari alle proprie esigenze, lo spostamento è consentito, entro tali limiti, che dovranno essere autocertificati.

Dunque ci si può spostare dal comune in cui si ha la residenza ai comuni confinanti.  Ad esempio per recarsi in un supermercato più grande oppure in un discount, dove si possano trovare gli stessi prodotti ma a prezzi inferiori. È consentito l’attraversamento di un solo confine comunale, a meno che lo spostamento non sia per necessità. E qui l’elenco è decisamente lungo. Da una visita medica, all’acquisto di prodotti ritenuti indispensabili, ad esempio le comuni lampadine, fino all’intervento in una officina autorizzata all’assistenza sulla propria autovettura.

PRIMA NECESSITÀ

Tutto sta nell’interpretare correttamente l’espressione «beni di prima necessità». Le lampadine rientrano in questa categoria di prodotti, una scaffalatura di sicuro no. Un romanzo neppure, ma un testo di scuola sì. Al pari di un modem per sostituire quello in uso che si sia  guastato oppure i pellet per alimentare la stufa.

L’importante è compilare meticolosamente l’autocertificazione indicando nello spazio riservato alla dichiarazione il motivo dello spostamento e il prodotto che si desideri acquistare. Attenzione che non vale la regola «di già che ci sono, oltre alla lampadina acquisto la scaffalatura», visto che resta l’obbligo di spostarsi fuori dal territorio comunale sono per le compere indispensabili.

Questa limitazione genera una serie di situazioni paradossali. Innanzitutto gli abitanti dei piccoli centri, sforniti quasi del tutto di attività commerciali, sono tagliati fuori da numerosi acquisti. A meno che non li facciano su Internet. Contemporaneamente i grandi ipermercati che si trovano quasi sempre in posizione molto decentrata rispetto ai centri urbani maggiori, a mano che non sorgano in un comune confinante con quello più grande, sono condannati a vendere poco o nulla. Ecco perché il governo dovrebbe arricchire l’elenco delle domande con relative risposte, pubblicate sul proprio sito web, inserendo anche queste situazioni.

Riassumendo ecco le tre cose da sapere per evitare di essere sanzionati. Anche perché le multe vanno da 400 a 1.000 euro. Ma se lo spostamento al di fuori del proprio comune avviene in auto o in moto, l’oblazione può aumentare di un terzo, quindi da 532 euro a 1.330 euro.

LE TRE REGOLE D'ORO DEL CASALINGO DI VOGHERA

Spostarsi fuori dal proprio comune solo per i prodotti di prima necessità
Verificare se nei comuni confinanti con il proprio si vende quel che si sta cercando
Compilare l'autocertificazione indicando chiaramente i beni che si vogliono acquistare
Continua a leggere

In Evidenza