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SPESA

Come acquistare latte e formaggi soltanto italiani: 20 domande per farlo in sicurezza

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Latte e formaggi sono una delle merceologie più ricche di referenze nei supermercati. Assieme ai salumi e alla carne, l’alimento bianco e i suoi derivati è fra quelli che occupano la porzione di spazio maggiore. Sui banconi della grande distribuzione la confusione è massima. Sullo stesso scaffale possono essere esposti formaggi a Denominazione protetta (Dop) assieme ai loro similari e a breve distanza da prodotti importati. Distinguere quelli veramente italiani è un’impresa da specialisti.

L’Italia ha introdotto nel corso del 2017 una norma che rende obbligatoria la dichiarazione d’origine della materia prima, il latte. Ma l’obbligo è spesso assolto dai produttori in maniera tale da rendere difficile la sua individuazione sull’etichetta. In alcuni casi, poi, manca del tutto, ma il prodotto rispetta ugualmente le prescrizioni di legge. Per orientarsi in questa giungla in cui valgono le regole fissate da leggi e regolamenti ma anche il loro contrario, ho compilato questa guida sotto forma di domande e risposte. Se avete dei dubbi non esitate comunque a scrivermi utilizzando l’apposito modulo di contatto, oppure postando un commento sotto a questo articolo. Il casalingo di Voghera è sempre a disposizione dei lettori.

DOMANDA 1
Quali sono le informazioni obbligatorie che si trovano sulle confezioni del latte fresco?
Sulle confezioni del latte fresco devono essere indicati chiaramente:

  • La denominazione di vendita, ovvero la dicitura della tipologia di latte a seconda del trattamento termico che ha subito e del tenore in materia grassa
  • Il produttore/confezionatore con l’indirizzo della sede dello stabilimento
  • La data di scadenza (“da consumare entro…”) o il termine minimo di conservazione
  • La data di confezionamento
  • Il lotto di produzione
  • La quantità netta ovvero il contenuto della confezione (es. 500 ml)
  • Il marchio di identificazione sanitario, per gli alimenti di origine animale
  • Le condizioni di conservazione (da conservare in frigorifero a 4°)
  • La dichiarazione nutrizionale
  • Il Paese di origine ed eventualmente la zona di mungitura, qualora sia possibile risalire, per la provenienza, fino agli allevamenti di origine.

DOMANDA 2
Come viene espressa per il latte fresco l’indicazione dell’origine?
L’indicazione dell’origine prevista dalle leggi in vigore in Italia è complessa. Si possono indicare:

  • Il comune, la provincia (o le provincie) italiana (o del Paese dell’Unione europea)
  • in alternativa è consentito indicare: la regione (o le regioni) italiana oppure del Paese UE
  • «Italia» (o il nome del Paese della UE) nel caso di provenienza del latte crudo dall’Italia o da un altro singolo Paese UE
  • «UE» nel caso di provenienza del latte da più paesi dell’Unione europea
  • «extra UE» nel caso il latte sia originario di Paesi non aderenti all’Unione europea

DOMANDA 3
Accade di trovare davvero tutte queste informazioni sulle confezioni di latte fresco in commercio nei nostri supermercati?
Non accade quasi mai. L’etichettatura d’origine è assolta di solito con la dichiarazione del Paese da cui proviene il latte. Le latterie con forte legame territoriale ci tengono, tuttavia, a segnalare le provincie o regioni di provenienza dei loro allevamenti.

DOMANDA 4
E per il latte a lunga conservazione Uht?
Per il latte Uht l’etichetta deve riportare le seguenti informazioni:

  • La denominazione di vendita, riferita al tenore dei grassi contenuti e al trattamento termico subito (latte intero, latte parzialmente scremato, latte scremato)
  • Il produttore/confezionatore con l’indirizzo della sede dello stabilimento
  • Il termine minimo di conservazione («da consumare preferibilmente entro…»), oppure, per prodotti molto deperibili, la data di scadenza («da consumare entro…»)
  • La data di confezionamento
  • Il lotto di produzione
  • La quantità netta
  • Il marchio di identificazione sanitario per gli alimenti di origine animale
  • Le condizioni di conservazione («da conservare in frigo a 4°»)
  • La dichiarazione nutrizionale
  • L’origine, specificando: «Paese di mungitura…»; oppure: «latte di Paesi UE» o ancora «latte di Paesi non UE», e il Paese di condizionamento oppure: «latte condizionato in Paesi UE (o non UE)» o «latte trasformato in Paesi UE (o non UE)». Se le due fasi (mungitura e condizionamento) avvengono nello stesso Paese, si può indicare: «ORIGINE DEL LATTE: …» con il nome del Paese dove il latte è stato munto, condizionato o trasformato.

DOMANDA 5
Quali sono invece, le indicazioni obbligatorie per l’etichettatura dei formaggi?
Le diciture obbligatorie sono le medesime del latte UHT, ma con una differenza: anziché il Paese di condizionamento è previsto il Paese di trasformazione. Per i formaggi, ci sono inoltre alcune prescrizioni obbligatorie da rispettare che differiscono a seconda delle loro caratteristiche. eccole in breve.
I FORMAGGI FRESCHI A PASTA FILATA (fiordilatte, mozzarelle e simili) possono essere posti in vendita solo se preconfezionati all’origine. Non non è possibile cioè trovarli nel punto vendita al dettaglio allo stato sfuso. Sulla confezione devono comparire le informazioni per il consumatore:

  • denominazione dell’alimento;
  • l’elenco degli ingredienti e allergeni;
  • data di scadenza;
  • nome e indirizzo del produttore;
  • le modalità di conservazione;
  • la dicitura di identificazione del lotto.

In etichetta compaiono pure informazioni per l’autorità di controllo come il marchio di identificazione dello stabilimento di produzione.
Anche sulle confezioni dei FORMAGGI STAGIONATI o SEMISTAGIONATI (caciotte, Provolone, Grana, Gorgonzola, Taleggio, ecc.) e altri prodotti lattiero caseari come lo yogurt, devono essere indicate le stesse informazioni nonché il MARCHIO DI IDENTIFICAZIONE, salvo specifiche esenzioni. Deve anche essere indicato quando il formaggio è ottenuto con LATTE CRUDO.

DOMANDA 6
E accade davvero di trovare tutte queste indicazioni su latte UHT e formaggi?
Accade molto di rado, anche se pure i grandi produttori industriali hanno compreso l’importanza di legare il prodotto al territorio. Succede invece che venga indicato il Paese di origine del latte che coincide di solito anche con quello di condizionamento o trasformazione. Quindi «Italia», oppure «UE».

DOMANDA 7
La dichiarazione d’origine è obbligatoria per tutti i tipi di latte e formaggi che si trovano in commercio nel nostro Paese?
No. Latte e formaggi prodotti al di fuori dall’Italia non sono tenuti ad applicare la nostra normativa sull’origine della materia prima..

DOMANDA 8
Ma qualora latte UHT o formaggi non indichino in alcun modo l’origine, compare in etichetta qualche elemento che consenta di identificarli con prodotti importati?
Purtroppo no. Può accadere ad esempio che venga indicato come produttore una società basata in Italia la quale funge però da mera filiale commerciale che si limita a vendere il formaggio o il latte a lunga conservazione in arrivo dall’estero.

DOMANDA 9
Dunque quando manca la dichiarazione d’origine si tratta di un prodotto sicuramente importato?
La mancanza della dichiarazione d’origine, a prescindere dalle altre indicazioni riportate in etichetta, è un buon indicatore per identificare latte e formaggi non italiani. Attenzione però: le Denominazioni d’origine protetta (Dop) anche se non indicano la provenienza dell’ingrediente primario, devono per forza utilizzare latte italiano.

 DOMANDA 10
Perché questa assenza?
Perché la Commissione europea – unico ente abilitato a riconoscere una Dop – ritiene che l’origine nazionale della materia prima sia implicita con l’apposizione in etichetta del simbolo giallo e rosso della Denominazione di origine protetta. I consumatori dovrebbero dedurlo vedendo il bollino della Dop.

DOMANDA 11
E per i formaggi a Indicazioni geografica protetta (Igp)?
Le Igp, a differenza delle Dop, non prevedono la provenienza esclusivamente italiana della materia prima. Per accertarsene c’è un unico modo: leggere i singoli disciplinari.

DOMANDA 12
Oltre all’origine possono mancare altre indicazioni obbligatorie?
Formalmente no, anche se accade che alcune siano espresse in forma descrittiva.

DOMANDA 13
Quali in particolare?
Ad esempio la denominazione di vendita. Vi sono prodotti che non si dichiarano esplicitamente formaggi. Accade di trovare in commercio formaggi che si dichiarino «specialità lattiero casearia». Questo perché nella loro formulazione viene utilizzato il carbonato di calcio, vietato nella preparazione dei formaggi.

Le Fette Morbidissime Camoscio d’Oro sono prodotte in Francia e quindi non recano l’origine del latte né la denominazione di vendita «formaggio» in quanto addizionate di carbonato di calcio

DOMANDA 14
Sui banconi latte e formaggi 100% italiani si trovano separati da quelli d’importazione?
Purtroppo no. Il latte e i suoi derivati di produzione nazionale sono mischiati con quelli importati e pure con quelli confezionati in Italia a partire da materia prima straniera.

 DOMANDA 15
Almeno i formaggi Dop e Igp sono separati dagli altri?
No. Sono addirittura confusi, sul medesimo scaffale, con i similari.

DOMANDA 16
Cosa sono i similari?
Si tratta di imitazioni di formaggi famosi – il più noto di tutti è il Grana Padano – confezionati spesso dai medesimi caseifici che producono la Dop ma senza rispettare il disciplinare di produzione e talvolta con latte importato.

DOMANDA 17
Che aspetto hanno i similari?
All’aspetto sono quasi uguali al formaggio che imitano, anche perché vengono venduti entrambi porzionati, con una piccola sezione di crosta visibile.

DOMANDA 18
E allora come si possono distinguere i similari dall’originale?
Dal bollino rosso e giallo che è presente soltanto sulle confezioni della Dop.

DOMANDA 19
In base a quale principi vengono suddivisi i formaggi sui banconi dei supermercati?
In base alla consistenza della pasta. Così ci sono i formaggi a pasta molle (come stracchini e mozzarelle), i formaggi a pasta dura (Grana Padano e Parmigiano Reggiano) e i formaggi a pasta semidura, come Fontina, Montasio e Asiago. Oltre ai loro similari, naturalmente.

DOMANDA 20
Che differenza passa, invece, tra un formaggio fresco e uno stagionato?
I formaggi vengono classificati anche in base alla loro maturazione e al tempo necessario per ottenerla. Freschissimi da 48 a 72 ore, freschi 15 giorni, semistagionati da 40 giorni a 6 mesi, stagionati da 6 mesi a 1 anno, molto stagionati oltre 1 anno.

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PREZZI

Metano auto fino a 2 euro al kg. Ma non c’è alcun complotto

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Dalla scorsa estate il prezzo alla pompa del metano per auto ha iniziato a salire. Da 0,977 euro  di giugno il prezzo medio (fonte Assogasmetano.it) è salito a 1 euro nel mese di agosto e a 1,244 a settembre. E ad ottobre i rialzi sono proseguiti provocando una situazione inedita per i possessori di auto alimentate a gas naturale: fra un distributore e l’altro i prezzi variano in una forchetta che va da 0,98 fino a 2,04 euro. E sui gruppi social dedicati al tema si è scatenata una vera e proprio gara a chi la sparava più grossa. «Ci vogliono strangolare», scriveva ad esempio Antonietta, «sarà il colpo di grazia. Così ci fanno morire». Chi voglia strangolare i metanautisti non è dato sapere. Ma come in tutte le esplosioni complottiste lanciato il sasso basta poco per provocare lo tsunami a base di dietro9logia.

«È il governo che fa salire i prezzi, ho visto un cartello appeso su una pompa di metano in Emilia. Il gestore ha scritto: “Sono costretto a chiudere dopo che il governo ha aumentato i prezzi del metano”», rispondeva imbufalito Salvatore. Chiosando: «Ecco chi ci vuole morti!», aggiungendo una sequela di aggettivi irriferibili.

NON È IL GOVERNO A FARE I PREZZI

Ma non è finita qui. Antonio, che di mestiere fa il camionista e pare saperla lunga (pare soltanto, però), dice che basta poco per capire come mai il prezzo sia salito così tanto e vi siano differenze enormi da una pompa all’altra. «Chiedete alla Snam. Loro trattano tutto il metano che si vende in Italia. Non possono non saperlo». In realtà si tratta delle solite parole in libertà che alimentano però una marea di bufale, come abbiamo sperimentato in questi mesi con il Covid e i vaccini. Intanto non è il governo a stabilire i prezzi del metano. Nessun governo può farlo in nessun Paese del mondo. Le quotazioni del gas naturale sono il frutto dell’incontro fra domanda e offerta. E siccome la domanda in questi mesi eccede di molto l’offerta i prezzi salgono.

Ma dove salgono? È presto detto: sulle piattaforme internazionali dove si negozia il gas metano. La più importante della quali si trova in Olanda e si chiama TTF, acronimo che sta per Title Transfer Facility ed è l’indice di borsa del gas naturale sul mercato dei Paesi Bassi.

prezzo metano all'ingrosso

Ebbene i contratti negoziati sul TTF si sono impennati. Tantissimo. In un anno il costo di un megawattora equivalente (l’unità di misura utilizzata) è passato dai 15,025 euro del 12 ottobre 2020 ai 116 euro di inizio ottobre 2021, pochi giorni fa. Un rincaro impressionante, pari al 672%. E lo si capisce immediatamente guardando il grafico che pubblico qui sopra.

DA 0,90 A OLTRE 2 EURO AL CHILO. POSSIBILE?

 

Nicol Venura

Nicola Ventura

Spiegato il motivo dei rincari non resta che affrontare l’altra pietra dello scandalo: «Com’è possibile che ci siano differenze di prezzo così grandi?», si chiedeva e mi chiedeva Fabrizio, aiutante di un gestore in Oltrepò. «Non può essere possibile», rincarava, «ci dev’essere per forza sotto qualcosa. Non puoi pagare lo stesso carburante 0,90 al chilo in una pompa e 2 euro in un’altra». E invece è possibile. Tutto dipende dal contratto sottoscritto dall’insegna o dal gestore con i fornitori di metano, come mi spiega Nicola Ventura, autore del sito Ecomotori.net, la bibbia dei metanautisti. «Le differenze di prezzo fra un distributore e l’altro si spiegano con la natura dei contratti», dice, «alcuni gestori hanno stipulato contratti a prezzo fisso con i fornitori di metano e quindi stanno pagandolo a un prezzo concordato in partenza. Altri gestori, invece, hanno sottoscritto contratti indicizzati al valore del gas naturale negoziato sulla piattaforma olandese Ttf. E quindi lo pagano molto di più».

metano prezzi alla pompa

 

LA SNAM NON C’ENTRA NULLA

Dunque nessun complotto. «Secondo i nostri calcoli il prezzo massimo teorico alla pompa dovrebbe attestarsi su 1,80 euro al chilogrammo per il mese di ottobre», aggiunge Ventura, «anche se credo che le quotazioni internazionali del gas naturale siano destinate a sgonfiarsi. Quindi non resta che aspettare per tornare a rifornirsi a prezzi sostenibili per le tasche di chi viaggia a metano».

Dimenticavo: la Snam non c’entra nulla con i prezzi del gas. Gestisce la rete italiana del gas, fatta dei tubi che lo trasportano e realizza anche distributori di metano ma non li gestisce, né vende metano.

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PRODOTTI

Birra senza glutine ma con tanto gusto

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birra scura
Con l’arrivo sul mercato della Stout della Cri del Birrificio Griz, si amplia la famiglia delle scure “gluten free”.

Da qualche tempo vedo sempre più spesso sui banconi di super e ipermercati bottiglie di birra senza glutine. Alcune le ho anche acquistate e bevute e devo dire che non mi sono pentito di averlo fatto. Quasi tutte, con poche eccezioni, sono più che bevibili. Alcune non hanno nulla da invidiare alle bionde e alle scure più apprezzate.

birra La Stout della Cri

La Stout della Cri

La curiosità di capire qualcosa di più su questa nicchia di mercato che però è in rapida espansione, mi è venuta inciampando sulla notizia di una nuova entrata, La Stout della Cri del birrificio Gritz di Erbusco, Brescia, fondato nel 2015 da Claudio Gritti,  è unico birrificio artigianale italiano specializzato nella produzione senza glutine. In questo caso si tratta di una birra scura, una stout appunto, privata del glutine con un processo definito «gluten removed». La nuova etichetta, ispirata a Cristina ‒ una  amica di famiglia dei produttori che ha contribuito, grazie ai suoi consigli, alla crescita del birrificio – identifica una birra scura ad alta fermentazione, di 4,7 gradi. Io non l’ho ancora provata – lo farò appena la trovo in commercio –  ma gli assaggiatori raccontano che i malti tostati spiccano al naso, dando profumi di caffè e un leggero sentore di cioccolato. «Il sapore, accompagnato da un amaro ben bilanciato», fa sapere il produttore, «è deciso e piacevole al palato. La birra presenta un colore tendente al marrone scuro, con una schiuma cremosa e persistente».

IL PROCEDIMENTO

La Birra da Ris

La nuova stout del birrificio di Erbusco viene deglutinata. Segue cioè  il tradizionale processo produttivo e solo alla fine adotta un accorgimento, con l’inserimento di un enzima, che assorbe gran parte di glutine presente. Non si tratta di un dettaglio secondario. Molte delle birre gluten free in commercio, infatti, sono fatte a partire da cereali che non contengono il glutine. Ad esempio il miglio, il riso o il mais. Una delle più famose bionde senza glutine è la Birra da Ris del birrificio svizzero Appenzeller, ma chi se ne intende ci ha segnalato puree la Brewdog Vagabond Pale Ale deglutinata al pari della Stout della Cri. L’elenco delle birre artigianali senza glutine è lungo ma non me la sento di annoiarvi.

Vi segnalo invece, fra le etichette commerciali che si trovanobirre Peroni Perlenbacher Moretti più facilmente nella grande distribuzione le Peroni  e Moretti senza glutine. E pure la Perlembacher Free From glutine che si trova nei punti vendita Lidl. Forse la più conveniente di tutte.

Fra le birre gluten free che ho bevuto di recente ricordo la Theresianer senza glutine che mi ha colpito per la profondità di gusto e la morbidezza. Una lager non filtrata, prodotta dall’etichetta di Martino Zanetti, che conserva i caratteristici aromi di luppolo e lieviti.

Da oggetto del desiderio, quasi introvabile, le birre per celiaci stanno diventando un prodotto reperibile con facilità almeno nei grandi supermercati e negli iper. Per le bionde e le scure artigianali gluten free, invece, è quasi sempre necessario far capo direttamente al produttore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Foto in evidenza di Luis Wilker Perelo WilkerNet da Pixabay]
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SPESA

Tre cosa da sapere per fare la spesa senza prendere la multa

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Fare acquisti è diventato un affare serio. Soprattutto nei comuni situati all’interno delle zone rosse, introdotte dalle ultime disposizioni in materia di contenimento della pandemia. In pratica è consentito uscire dal proprio domicilio soltanto per comprovate esigenze oggettive, come quella di acquistare generi alimentari o beni di prima necessità. Le attività che possono continuare ad operare anche nelle zone rosse sono incluse nell’allegato 23 al Dpcm (Decreto del presidente del Consiglio dei ministri) emanato il 3 novembre 2020.

Eccole…

Alimentari e bevande venduti in ipermercati, supermercati, discount di alimentari, minimercati ed altri esercizi non specializzati
Surgelati nella grande distribuzione e presso negozi specializzati
Commercio al dettaglio di computer, periferiche, telefoni, attrezzature per le telecomunicazioni, elettronica di consumo, audio e video, elettrodomestici venduti in esercizi specializzati e non specializzati (dunque anche supermercati e ipermercati)
Tabacchi, sigarette elettroniche e liquidi da inalazione
Benzinai
Ferramenta, vetrai, materiali da costruzione (inclusi ceramiche e piastrelle venduti in esercizi specializzati
Sanitari (vasche da bagno, docce, saune, lavandini, bidet eccetera)
Giardinaggio: macchine, attrezzature e prodotti venduti in esercizi specializzati
Articoli per l’illuminazione e videosorveglianza, antifurti in esercizi specializzati
Librerie
Edicole
Cartolerie e forniture per l’ufficio
Abiti e calzature per bambini e neonati
Giocattoli in esercizi specializzati
Biancheria personale venduta negli esercizi specializzati
Articoli e abbigliamento sportivo e per il tempo libero, biciclette in punti vendita specializzati
Concessionarie auto e moto
Officine
Autoricambi
Farmacie e parfarmacie
Animali domestici e loro alimenti venduti in esercizi specializzati
Fioristi
Profumerie
Erboristerie
Ottici
Combustibili per riscaldamento
Saponi, detersivi e prodotti per la casa
Banchi dei mercati dedicati alla vendita di alimentari e bevande; ortofrutticoli, pesci e crostacei, fiori, piante, bulbi e fertilizzanti, profumi e cosmetici, saponi, detersivi e altri detergenti; biancheria; confezioni e calzature per bambini e neonati
Commercio online di qualsiasi prodotto non compreso nelle categorie precedenti

PICCOLI COMUNI

Ma se questi sono gli esercizi che possono rimanere aperti – e sono davvero tanti – c’è un particolare importante che né il decreto e neppure le circolari del Ministero dell’Interno chiariscono: qualora nel comune dove si risiede non sia aperto nessuno di questi esercizi, ci si può spostare? In quale misura? E per acquistare cosa? Un libro, ad esempio non rientra nella categoria dei «beni di prima necessità», dunque se nel proprio comune di residenza non ci fosse alcuna libreria, lo si può ordinare soltanto via internet. Stesso ragionamento per computer, profumi, prodotti per il fai da te, biancheria personale, fiori, alimenti per animali. Giusto per fare alcuni esempi.

Sabato 14 novembre 2020, però, il governo ha aggiornato sul proprio sito internet (Governo.it) l’elenco delle domande e delle risposte dedicate agli interrogativi più frequenti sulla materia di spostamenti nella zone rosse e arancioni. In quest’ultimo caso decade il vincolo di spostamento solo in caso di necessità, ma permane quello di restare entro il comune di residenza.

TERRITORIO «CONTIGUO»

C’è, in particolare, un quesito e relativa risposta, che modifica la questione, anche se non chiarisce fino in fondo cosa sia lecito fare e cosa, invece, resti vietato. Eccolo:

DOMANDA: posso fare la spesa in un Comune diverso da quello in cui abito?
Gli spostamenti verso Comuni diversi da quello in cui si abita sono vietati, salvo che per specifiche esigenze o necessità.

RISPOSTA: fare la spesa rientra sempre fra le cause giustificative degli spostamenti. Laddove quindi il proprio Comune non disponga di punti vendita o nel caso in cui un Comune contiguo al proprio presenti una disponibilità, anche in termini di maggiore convenienza economica, di punti vendita necessari alle proprie esigenze, lo spostamento è consentito, entro tali limiti, che dovranno essere autocertificati.

Dunque ci si può spostare dal comune in cui si ha la residenza ai comuni confinanti.  Ad esempio per recarsi in un supermercato più grande oppure in un discount, dove si possano trovare gli stessi prodotti ma a prezzi inferiori. È consentito l’attraversamento di un solo confine comunale, a meno che lo spostamento non sia per necessità. E qui l’elenco è decisamente lungo. Da una visita medica, all’acquisto di prodotti ritenuti indispensabili, ad esempio le comuni lampadine, fino all’intervento in una officina autorizzata all’assistenza sulla propria autovettura.

PRIMA NECESSITÀ

Tutto sta nell’interpretare correttamente l’espressione «beni di prima necessità». Le lampadine rientrano in questa categoria di prodotti, una scaffalatura di sicuro no. Un romanzo neppure, ma un testo di scuola sì. Al pari di un modem per sostituire quello in uso che si sia  guastato oppure i pellet per alimentare la stufa.

L’importante è compilare meticolosamente l’autocertificazione indicando nello spazio riservato alla dichiarazione il motivo dello spostamento e il prodotto che si desideri acquistare. Attenzione che non vale la regola «di già che ci sono, oltre alla lampadina acquisto la scaffalatura», visto che resta l’obbligo di spostarsi fuori dal territorio comunale sono per le compere indispensabili.

Questa limitazione genera una serie di situazioni paradossali. Innanzitutto gli abitanti dei piccoli centri, sforniti quasi del tutto di attività commerciali, sono tagliati fuori da numerosi acquisti. A meno che non li facciano su Internet. Contemporaneamente i grandi ipermercati che si trovano quasi sempre in posizione molto decentrata rispetto ai centri urbani maggiori, a mano che non sorgano in un comune confinante con quello più grande, sono condannati a vendere poco o nulla. Ecco perché il governo dovrebbe arricchire l’elenco delle domande con relative risposte, pubblicate sul proprio sito web, inserendo anche queste situazioni.

Riassumendo ecco le tre cose da sapere per evitare di essere sanzionati. Anche perché le multe vanno da 400 a 1.000 euro. Ma se lo spostamento al di fuori del proprio comune avviene in auto o in moto, l’oblazione può aumentare di un terzo, quindi da 532 euro a 1.330 euro.

LE TRE REGOLE D'ORO DEL CASALINGO DI VOGHERA

Spostarsi fuori dal proprio comune solo per i prodotti di prima necessità
Verificare se nei comuni confinanti con il proprio si vende quel che si sta cercando
Compilare l'autocertificazione indicando chiaramente i beni che si vogliono acquistare
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