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Pasta italiana ma non troppo: multa di un milione a Lidl

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Nel mirino dell’Antitrust spaghetti e maccheroni fatti con grano straniero ma presentati come italiani.

L’Autorità per la concorrenza ha chiuso cinque procedimenti nei confronti di altrettanti produttori di pasta. Divella, De Cecco, Auchan (ora Margherita) e Cocco evitano le sanzioni. Lidl si ribella e prende un milione di multa. L’indagine è partita poco meno di un anno fa: sui banconi dei supermercati si trova pasta che si presenta come italianissima, fatta però a partire da semola ricavata da grano duro acquistato all’estero. L’origine straniera della materia prima compare sulla confezione, come previsto dal Decreto legislativo emanato nel 2017. Ma è scritta in piccolo, regolarmente sul retro dei pacchi e quasi nessuno la nota. Sulla parte frontale della confezione, invece, fanno bella mostra nastri, coccarde e bandiere tricolori, assieme a immagini o diciture – Made in Italy su tutte – che rafforzano nel consumatore la convinzione di avere a che fare con un prodotto italianissimo. Ed è per questo che l’Autorità garante della concorrenza ha aperto l’indagine.

«L’Autorità», si legge in una nota, «ha accolto e reso obbligatori gli impegni presentati da Auchan, Cocco, De Cecco e Divella. Nel dettaglio, gli impegni consistono in modifiche delle etichette e dei rispettivi siti così da garantire al consumatore una informazione completa, fin dal primo contatto, sull’origine (talvolta estera) del grano utilizzato nella produzione della pasta. Il nuovo set informativo permetterà così di evitare la possibile confusione tra provenienza della pasta e origine del grano».

GLI IMPEGNI DEI PRODUTTORI

Più nel dettaglio Divclla si è impegnata a inserire la dicitura «Origine Ue e non Ue» del grano nella parte anteriore della confezione e nella homepage del sito internet. De Cecco ha deciso di eliminare dal packaging la bandierina tricolore e le diciture «Made in Italy», «Metodo De Cecco» e «Ricetta da oltre 130 anni». Per contro aggiungerà, sempre nel medesimo campo visivo della denominazione di vendita, la dicitura «I migliori grani italiani, californiani e dell’Arizona».

Auchan, ora Margherita dopo la cessione dei punti di vendita a Conad, ha accettato di rimuovere dalla confezione le silouette dell’Italia e delle regioni in cui la farina viene molita (Lombardia e Marche) e di rimuovere ogni riferimento all’italianità della pasta. Aggiungendo, sempre nella parte anteriore dei pacchi, l’indicazione d’origine del grano. Il pastificio Cav. Giuseppe Cocco si è impegnato a scrivere nell’etichettatura frontale l’origine del grano: «proveniente dall’Arizona».

IL «NO» DELLA LIDL

La Lidl ha invece  respinto al mittente le accuse dell’Antitrust, prendendosi una multa di un milione di euro. Le linee di prodotto finite sotto la lente dell’Autorità sono due, Italiamo e Combino, commercializzate con «confezioni che rappresentano in maniera ingannevole le caratteristiche di tale pasta, enfatizzando sulla parte frontale l’italianità del prodotto, in assenza di adeguate e contestuali indicazioni sull’origine anche estera del grano duro impiegato nella produzione della pasta». La cui origine «Ue e non Ue» è scritta in piccolo nel retro della confezione.  La pasta Italiamo reca in evidenza, nel medesimo rettangolo della marca la dicitura «Passione Italiana». Mentre «sotto al rettangolo bianco sono riportati, in caratteri dorati, il nome del formato di pasta e l’indicazione “Pasta di Gragnano IGP”. Nella parte trasparente della confezione>, scrive l’Antitrust, «sono stampati un’immagine dell’Italia con la dicitura “Specialità della Campania”, il logo “Indicazione Geografica Protetta” e il simbolo del Consorzio».

TROPPI TRICOLORI

La Pasta a marchio Combino, invece reca sulla confezione «un’immagine evocativa del paesaggio italiano» scrive sempre l’Antitrust, la dicitura «Specialità italiana» e «ben visibile, l’immagine di una coccarda con i colori della bandiera italiana, sui quali è stampata la dicitura “Prodotto in Italia”».  Sul retro della confezione, sotto la lista degli ingredienti, è riportata l’indicazione «Paese di coltivazione del grano: UE e non UE, accompagnata dall’informazione che il paese di molitura è l’Italia. Questo però non è stato ritenuto sufficiente dall’Authority perché l’insieme degli elementi grafici e testuali è tale da indurre i consumatori a ritenere che si tratti di un prodotto tutto italiano.

Fra l’altro, in tutti e due i casi, siamo nel campo di applicazione del regolamento europeo 775 del 2018, destinato a disciplinare la dichiarazione d’origine dell’ingrediente primario.  Regolamento al quale la Lidl si richiama per giustificare le proprie scelte di etichettatura. Ecco il passaggio contenuto nel provvedimento del Garante:

«Il prodotto alimentare considerato è la pasta di grano duro e l’ingrediente primario al quale bisogna fare riferimento è la semola di grano duro che costituisce il solo ingrediente della pasta alimentare fabbricata in Italia». La semola utilizzata nella pasta di grano duro commercializzata da Lidl è ottenuta in Italia e quindi sia l’alimento che il suo ingrediente primario sono italiani.

ARGOMENTAZIONI CONTROVERSE

In realtà le argomentazioni utilizzate dalla catena tedesca per confutare le accuse dell’Antitrust sono numerose e vale la pena di leggerle, assieme alle controdeduzioni dell’Authority (qui il link per scaricare tutto il materiale relativo al procedimento). Riassumo la conclusione a cui giunge Lidl.

«Il prodotto è italiano in quanto non solo l’ultima trasformazione sostanziale è avvenuta in Italia, ma anche perché la semola utilizzata è completamente italiana in quanto trasformata in Italia. La percezione di italianità che il consumatore ne ricava è decisamente corretta in quanto il prodotto è italiano ai sensi della normativa vigente».

La normativa a cui fa riferimento la catena è in particolare l’articolo 60 del Codice doganale Ue, in base al quale un prodotto a cui concorrono materie prime provenienti da più Paesi, assume l’origine di quello in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale. Cioè la pastificazione. Una interpretazione rigettata dall’Authority che si richiama proprio al regolamento europeo 775/2018 sostenendo che le complesse modalità di presentazione delle due paste Lidl sono «caratterizzate da una enfatizzazione dei vanti di italianità, mentre le informazioni sulla vera origine del grano duro sono collocate fuori dal campo visivo principale. E «risultano ingannevoli».

LA SANZIONE

Visto l’alto numero di consumatori coinvolti potenzialmente nell’acquisto delle paste Italiamo e Combino e il  lasso di tempo nel corso del quale è stata perpetrata la violazione – dal gennaio 2017 in poi – il Garante ha deciso di irrogare per ciascuna delle due infrazioni il massimo della pena pecuniaria, vale a dire 500mila euro. Infliggendo alla Lidl una multa di un milione di euro e assegnando «a Lidl Italia  novanta giorni dalla notifica del provvedimento,  per il necessario adeguamento della confezione di vendita della pasta di semola di grano duro a marchio Italiamo e Combino, con l’indicazione contestuale agli elementi evocativi dell’italianità del prodotto, del luogo di origine del grano duro sul fronte della confezione oppure mediante altra iniziativa equivalente». Secondo me il contenzioso non finisce qui.

 

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Sentenza Ue: il gallo del Chianti non si può imitare

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bottiglie di Chianti Classico

Il gallo del Chianti è salvo. La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha deciso con una sentenza storica che il simbolo del vino più noto d’Italia non può essere utilizzato sull’etichetta di altre bottiglie dal momento che rappresenta un «carattere distintivo intrinseco del marchio Chianti». Confermato il parere dell’Ufficio Ue per la proprietà intellettuale (Euipo) che aveva negato la registrazione del simbolo del gallo alla Berebene Srl.

logo gallo Berebene

Il gallo Berebene

Ad opporsi alla richiesta di registrazione avanzata dalla Berebene era stato il Consorzio di tutela del Chianti Classico ottenendo  una pronuncia favorevole da parte dell’Euipo. Ma la Berebene aveva presentato ricorso alla Corte di giustizia Ue. Ieri il verdetto.

Durissime le motivazioni della sentenza (qui il link). I giudici di Strasburgo sottolineano l’esigenza «al di là del grado di somiglianza tra i due segni, di evitare fenomeni di parassitismo commerciale. Infatti, vista l’elevata notorietà e il carattere distintivo intrinseco del marchio Chianti, il fatto di utilizzare un segno avente una certa somiglianza con esso proprio per dei vini presenta un rischio concreto che il pubblico di riferimento associ l’immagine del gallo del marchio della Berebene ai vini Chianti». E in effetti i due simboli, a parte il soggetto, si assomigliano poco. Ma la Corte Ue ha stabilito che nei consumatori si logo Chianti Classicosarebbe potuta ingenerare lo stesso confusione.

Una decisione che ribalta di fatto alcune sentenze dannose per il made in Italy a tavola. Come quella che autorizzava un’azienda agricola belga a mettere in vendita pomodori “San Marzano”, con una evocazione clamorosa ai danni della Dop Pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese Nocerino.

Vale la pena di segnalare che la Berebene Srl ha sede a Roma e francamente fa specie che una società italiana pensi di poter registrare un marchio contenente il simbolo di un vino di grande tradizione come il Chianti. I nostri prodotti – proprio a cominciare dai vini –  sono già oggetto di falsificazioni in tutto il mondo da parte di taroccatori fin troppo agguerriti. Quando le imitazioni arrivano da casa nostra sono ancora meno scusabili.

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Scoppia la guerra del pomodoro pelato

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pomodoro pelato

Puglia contro Campania: scoppia la guerra del pomodoro pelato. Dopo lo scontro sulla Mozzarella di Gioia del Colle Dop le due regioni arrivano nuovamente ai ferri corti. Questa volta per la solanacea rossa lavorata e inscatolata. A scatenare lo scontro è stata la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il 13 marzo 2021,  della richiesta di riconoscimento del Pomodoro pelato di Napoli Igp. La pratica ha già avuto il via libera dal nostro Ministero delle Politiche agricole. Ora manca soltanto l’imprimatur della Ue. Ma si tratta, a questo punto, di un passaggio formale.

Donato Pentassuglia pomodoro pelato

Donato Pentassuglia

Ai produttori pugliesi, però, non sta bene. L’assessore pugliese all’Agricoltura Donato Pentassuglia ha annunciato che la Regione si opporrà al riconoscimento. «Ci sono sessanta giorni di tempo per farlo e abbiamo quasi istruito il fascicolo», ha puntualizzato. Il motivo? Secondo i pugliesi il 90% della produzione di pelato si concentra nella provincia di Foggia. Dunque, a rigor di logica, l’Indicazione geografica protetta spetterebbe al pomodoro foggiano. Una diatriba che si trascina da almeno quattro anni ed è esplosa quando il testo con il placet del ministero è finito sulla Gazzetta Ufficiale. Ma siamo soltanto all’inizio.

IN CAMPO L’ASSOCIAZIONE CONSERVE VEGETALI

Antonio Ferraioli

Antonio Ferraioli

Sulla questione è intervenuto anche Antonio Ferraioli, presidente dell’ Anicav (Associazione nazionale industriali conserve vegetali), nata a Napoli nel 1945. «Riteniamo sia giusto fare chiarezza», ha fatto  sapere in una nota, «perché l’Indicazione geografica protetta, come si evince molto chiaramente dal disciplinare di produzione, non riguarda assolutamente la materia prima ma il prodotto trasformato, appunto il pomodoro “pelato”. Per questo motivo non si fa alcun riferimento alla provenienza del pomodoro fresco, che tutti sanno venire per la maggior parte dalla Puglia». Fra l’altro l’Igp non lega indissolubilmente l’alimento alla zona di produzione della materia prima, come accade ad esempio per Bresaola della Valtellina e Speck dell’Alto Adige che possono essere fatti a partire da carne proveniente dai cinque continenti.

Per le Dop (Denominazioni d’origine protette) devono sussistere  tre condizioni irrinunciabili:  origine del prodotto, ricetta tradizionale e luogo di trasformazione in una zona ben definita. Per le Igp bastano due di queste tre condizioni. E nel caso del Pomodoro pelato di Napoli Igp le due condizioni sono la ricetta tradizionale e il luogo di trasformazione.

TRASFORMAZIONE E MATERIE PRIME

Semmai si potrebbe discutere sul fatto che il Pomodoro pelato di Napoli Igp, da disciplinare  (qui il link), si possa produrre non soltanto nel Napoletano, ma nel «territorio amministrativo delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise e Puglia». Così, l’impianto di lavorazione e confezionamento potrebbe trovarsi, addirittura, in provincia di Teramo, pur sfornando il Pelato di Napoli. Ma non si tratterebbe  del primo e nemmeno dell’unico caso.

Il Prosciutto di Parma Dop, ad esempio, prevede che la zona tipica di produzione «comprenda il territorio della provincia di Parma posto a sud della via Emilia a distanza da questa non inferiore a cinque chilometri, fino ad una altitudine non superiore a 900 metri, delimitato ad est dal corso del fiume Enza e ad ovest dal corso del torrente Stirone». Dunque il vincolo dei salumifici al territorio è molto stringente. Ma il Parma Dop si può fare a partire da cosce di suini nati, allevati e macellati in Italia, provenienti però da 10 regioni italiane: Emilia- Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio (qui il link).

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Com’è difficile capire cosa siano le Dop e le Igp

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Dop e Igp sono le sigle che individuano i prodotti alimentari legati ai territori e alle tradizioni che questi luoghi esprimono. Un cibo a Denominazione d’origine protetta, Dop in sigla, deve rispettare tre caratteristiche:

  1. essere fatto sulla base di una ricetta tradizionale comprovata, consolidata nel tempo e strettamente legata ai luoghi in cui viene prodotto;
  2. utilizzare soltanto materie prime italiane provenienti dalle zone rigorosamente fissate dal disciplinare di produzione (spiego fra poco cosa sia il disciplinare):
  3. il luogo di produzione o trasformazione si trovi in Italia, in una zona fissata sempre dal disciplinare, solitamente uno o più comuni limitrofi

Gli alimenti a Indicazione geografica protetta, invece, devono rispettare due di queste tre condizioni. E se si eccettuano le Igp vegetali – ad esempio il Cappero di Pantelleria o la Cipolla Rossa di Tropea – di solito le due caratteristiche rispettate sono:

  1. ricetta tradizionale comprovata;
  2. luogo di produzione o trasformazione in Italia (ma non potrebbe essere diversamente).

La materia prima utilizzata nelle Igp, invece, non è necessariamente italiana e può arrivare da ogni parte del mondo., come avviene per esempio per la Bresaola della Valtellina Igp, lo Speck dell’Alto Adige Igp e la Mortadella di Bologna Igp.

Poi esistono pure le Stg (Specialità tradizionali garantite) che sono delle Igp ancora meno legate al territorio e devono in sostanza rispettare la ricetta. In tutto sono tre: mozzarella, pizza napoletana e amatriciana tradizionale.

Ecco, comunque, i tre bollini che identificano quelle che nel gergo tecnico si definiscono «indicazioni geografiche».

bollini Dop Igp Stg

Ecco i bollini di Dop, Igp ed Stg

Per semplificare, dunque. le Dop devono rispettare tre condizioni su tre, le Igp soltanto due su tre e le Stg appena una. Ma questa semplificazione è mia e vi confesso che ho impiegato anni a elaborarla nella maniera che vi ho appena esposto. Qualora un consumatore volesse approfondire sulle fonti ufficiali cosa siano Dop, Igp ed Stg ben difficilmente ci capirebbe qualcosa. Faccio alcuni esempi.

ORIGIN ITALIA

L’associazione dei consorzi di tutela delle indicazioni geografiche, Origin Italia, se la cava pubblicando sul proprio sito le definizioni ufficiali prese dal regolamento Ue 1151/2012 che paiono scritte, però, per non farsi capire. Eccole.

Con la dicitura DOP Denominazione di Origine Protetta si intende:
“il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare: originario in tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese le cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani, e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nella zona geografica delimitata”.

Con la dicitura IGP Indicazione di Origine Protetta si intende:
“il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare: come originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e del quale una determinata qualità, la reputazione o altre caratteristiche possono essere attribuite a tale origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengano nell’area geografica determinata”.

Sfido chiunque a capire quali meccanismi mettano in gioco queste definizioni. Fattori naturali e umani? Qualità? Reputazione? Di cosa si parla? E nulla sulla materia prima.

IL MIO CIBO, LA TUA CONFUSIONE

Non va meglio con il sito ilmiocibo.it, iniziativa per altro lodevole, frutto di una collaborazione fra Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura (Coldiretti) e Ministero della Salute. Nella pagina dedicata a Dop, Igp ed Stg compare infatti una infografica che ricalca purtroppo l’impostazione europea. Eccola.

 

infografica Dop Igp Stg

L’infografica che compare sul sito ilmiocibo.it

Certo, si parla di «legame (più forte nella Dop e meno forte nella igp) tra prodotto e territorio», ma quale sia questo legame non è per nulla chiaro.

TOPPA ANCHE WIKIPEDIA

Perfino Wikipedia non fa meglio e scimmiotta le definizioni comprese nel Regolamento Ue 1151/2012. Ecco cosa scrive a proposito della Dop:

L’ambiente geografico [a cui sono legate le Dop, ndA] comprende sia fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali), sia fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità, savoir-faire) che, combinati insieme, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva.

E la materia prima? Per le Dop è dirimente e come abbiamo visto la sua provenienza è la caratteristica che le differenzia dalle Igp. Pure in questo caso sfido chiunque a capire fino in fondo le differenze fra le indicazioni geografiche descritte.

L’INFOGRAFICA DEL CASALINGO DI VOGHERA

Per semplificare la vita ai miei lettori ho realizzato una infografica per riassumere schematicamente il meccanismo delle tre caratteristiche il cui rispetto totale o parziale differenzia le tre indicazioni geografiche. Eccola.

differenze Dop Igp Stg

L’infografica del Casalingo di Voghera su Dop, Igp, Stg

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