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Sos DeCo: salviamo le Denominazioni comunali. Prima che scompaiano

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Un’occasione mancata o una opportunità ancora tutta da valorizzare. Il presente e il futuro delle DeCo – Denominazioni comunali –  è ancora da scrivere. Nate da un idea del giornalista Luigi Veronelli, la migliore definizione che se ne possa dare è quella coniata da Paolo Massobrio, giornalista pure lui, grande esperto di gusto e di alimentazione, ideatore del Club di Papillon, del Golosario e di Golosaria.

Scrive Massobrio:

Le DeCo «sono dei censimenti di produzioni che hanno un valore identitario per una comunità. Sono dunque strumenti flessibili per valorizzare le risorse della propria terra nel tentativo di garantire la biodiversità, traendone talvolta vantaggi anche sul piano turistico ed economico. Rappresentano, insomma, il vero, autentico passaggio dal generico “prodotto tipico” al “prodotto del territorio”».

Un tema fondamentale per capire la portata delle Denominazioni comunali: il prodotto tipico è soprattutto legato alla ricetta, al modo di prepararlo o addirittura cucinarlo. La DeCo riesce a creare un collegamento indissolubile al territorio d’origine. Ne fa un elemento identitario.

Purtroppo manca ancora del tutto un registro nazionale o per lo meno regionale delle Denominazioni comunali che fornirebbe loro l’ufficialità necessaria a valorizzarle. E le renderebbe pure facilmente individuabili, diversamente da quel che accade ora. La ricerca di una De.co è perfino più difficile di una caccia al tesoro. Ma molto meno entusiasmante. Tranne pochissimi casi,le DeCo sono opache, nascoste tra le pieghe di delibere comunali respingenti, quando va bene, oppure del tutto introvabili, perfino conoscendone l’esistenza. Figuriamoci se non si sa cosa cercare.

PRODOTTI IDENTITARI

Così il potenziale dei prodotti identitari, rimane impantanato in quella terra di nessuno fatta di buone intenzioni e aspirazioni legittime di unicità, annegate però in un mare di indifferenza. In tutta onestà non mi sento di incolpare i sindaci e le amministrazioni locali se dimenticano di pubblicare sul sito del comune per lo meno l’elenco dei prodotti cui hanno riconosciuto la DeCo. Anche perché la legge cui si fa risalire il disco verde per le Denominazioni comunali, precisamente la 142 del 1990, consente ai comuni di disciplinare e valorizzare le attività agroalimentari tradizionali. Ma non ha introdotto alcun obbligo successivo al riconoscimento della DeCo. È sufficiente la pubblicazione della delibera consiliare sull’albo pretorio. E molti comuni – la stragrande maggioranza – si fermano qui. Lo posso dire con certezza perché sto aiutando mio figlio Riccardo nella ricerca dei prodotti unici e distintivi dell’Oltrepò e della provincia di Pavia.Stiamo facendo passare come il riso i siti dei 188 comuni che compongono il lembo sudoccidentale della Lombardia. Ma è un percorso a ostacoli. Il caso più frequente è quello di imbattersi in una De.Co perché viene citata in qualche documento o in qualche pagina web di enti diversi. Comunità montana, Camera di commercio, associazioni locali dei produttori agricoli o dei commercianti. Ci si sente quasi come quegli astronomi alla ricerca di pianeti abitabili lontanissimi che li individuano osservando le variazioni di luce della stella attorno alla quale orbitano e che oscurano parzialmente al passaggio.

PORTALI CONGELATI

Curiosa la sorte che accomuna due portali internet, nati proprio con l’obiettivo di diventare un punto di riferimento per le DeCo e forse di censirle, Denominazionecomunale.it e Infodeco.it. Il primo è fermo al 2014, il secondo al 2017. Troppo vasto il territorio italiano per aspirare anche soltanto a mettere assieme un semplice elenco dei prodotti distintivi dei singoli comuni. L’obiettivo che ci siamo posti Riccardo ed io è molto più semplice: individuare quelli della provincia di Pavia. Siamo soltanto all’inizio. Esaurita la ricerca online passeremo a quella «sul campo», bombardando sindaci e assessori di telefonate ed email. Vi aggiornerò sull’esito dell’operazione.

LA PATATA DEL BRALLO

In mezzo alla nebbia che nasconde anche dei veri campioni del gusto, accade però di imbattersi in situazioni inaspettatamente positive, come nel caso della patata del Brallo DeCo. Mi sento di citarla perché rappresenta l’esempio di come le DeCo possano essere documentate dal comune che le abbia riconosciute, in questo caso Brallo di Pregola, in tutto 553 anime, abbarbicato sull’Appennino a 952 metri sul livello del mare. Ebbene, nel 2018, l’amministrazione locale, dopo aver assegnato la denominazione comunale al tubero di montagna, ha pubblicato sul proprio sito un disciplinare (qui il link) così dettagliato e al contempo facile da leggere, da far invidia perfino a molte Dop, le Denominazioni d’origine protetta che mettono in fila i campioni del made in Italy a tavola, dal Grana Padano al Parmigiano Reggiano, dal Prosciutto di Parma al San Daniele. Non saprei dire a chi sia venuta l’idea di redigere un documento così rigoroso né, tantomeno chi l’abbia compilato. Posso dire però con certezza una cosa: bravi! Si fa così! È senz’altro un esempio da seguire.

Chi voglia approfondire il tema delle Denominazioni d’origine può leggere l’articolo che ho pubblicato sul blog poco più di un anno fa (qui il link). La materia è complessa, ma vitale per fornire ai consumatori precisi punti di riferimento su quel che acquistano e portano a tavola.

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