ETICHETTE

Manuale per neofiti del made in Italy a tavola

Pubblicato

il

La lista dei cibi che finiscono più spesso nel carrello della spesa con le indicazioni utili a comprendere da dove arrivino.

Secondo uno studio realizzato da Swg per Legacoop 5 italiani su 4 ritengono importante acquistare cibi made in Italy per aiutare i nostri produttori. Precisamente l’82% dei consumatori si dichiara favorevole all’acquisto di soli prodotti italiani al 100%.

Il problema però è come riconoscerli nella giungla di referenze che affollano i banconi dei nostri supermercati. E prima ancora cosa e dove cercare per distinguere i cibi interamente nazionali da quelli importati e dalla pletora di quelli realizzati con materie prime straniere trasformate nel nostro Paese.

L’ORIGINE IN ETICHETTA

Intanto sgombriamo il campo da un equivoco molto diffuso: non è vero che circolino tanti cibi con l’etichetta taroccata. Ci sono sì casi di contraffazione, ma sono rari e vengono individuati puntualmente dai soggetti preposti alle verifiche: Nas dei Carabinieri, Carabinieri Forestali, Ispettorato anti frodi, Guardia di Finanza, Agenzia per le Dogane.

Semmai il guaio è un altro: in pochi leggono le etichette dei cibi  alla ricerca della loro vera origine e un numero ancora più esiguo di consumatori sa cosa può trovarvi scritto. E infatti, con queste premesse, i nostri carrelli della spesa traboccano di finti cibi italiani.

L’acquisto consapevole prevede la conoscenza delle norme di base che regolano l’etichettatura delle derrate alimentari. Diversamente si può soltanto sbagliare, procedendo a tentoni fra abitudini stratificate nel tempo e convinzioni fondate su equivoci giganteschi se non vere e proprie bufale.

I SETTE ERRORI CAPITALI

Gli sbagli che vengono compiuti più di frequente al momento dell’acquisto sono sette, come i peccati capitali. Eccoli.

  1. Marca italiana uguale prodotto italiano
    Non è vero. L’italianità di un alimento non è garantita dalla nazionalità del produttore.
  2. Il made in Italy è solo nostro
    La scritta «made in Italy» non equivale a una dichiarazione d’origine. Attesta solo che il prodotto è stato «fatto», confezionato o trasformato nel nostro Paese. Anche a partire da ingredienti importati.
  3. Il tricolore è una garanzia
    Purtroppo non è così. Bandierine, nastrini e coccarde tricolori si possono trovare anche su cibi che vengono soltanto trasformati nel Belpaese, ad esempio un prosciutto tedesco cotto o stagionato da noi.
  4. Se c’è scritto Firenze (o Milano, Bologna…) è un prodotto italiano.
    Non è così. Un toponimo italiano nella marca (Carapelli Firenze) o nella denominazione (salame Milano e mortadella Bologna) non implica in nessun modo che si tratti di prodotti «100% Italia».
  5. Gli alimenti importati sono separati dagli altri sui banconi
    Accade esattamente il contrario: vero e falso made in Italy si trovano regolarmente mischiati sugli scaffali dei supermercati.
  6. Dop e Igp sono sicuramente italiane
    Falso. Mentre i cibi a Denominazione d’origine protetta (Dop) devono utilizzare soltanto ingredienti italiani, quelli a Indicazione geografica protetta (Igp) possono impiegare materie prime importate da altri Paesi. È il caso ad esempio della Bresaola della Valtellina e dello Speck dell’Alto Adige.
  7. Io lo so, le etichette sono tutte taroccate
    Impossibile. Con la quantità e l’intensità dei controlli fatti in Italia è praticamente impossibile per i falsari farla franca. Semmai, dando per false tutte le etichette, si finisce per non leggerle e si rinuncia così a distinguere il vero cibo italiano dall’altro.

ALLORA, COSA SI DEVE CERCARE?

Le domande che mi sento rivolgere più spesso è «Cosa devo cercare sull’etichetta?», oppure «Come faccio a sapere quali sono i cibi che dichiarano l’origine degli ingredienti?» e ancora: «Come si possono distinguere i cibi davvero made im Italy?».

Purtroppo non c’è una regola aurea, valida sempre, che permetta di distinguere facilmente gli alimenti 100% Italia dagli altri. Soprattutto perché non è obbligatorio indicare sempre l’origine. Anziché fare un lungo elenco ho riassunto la situazione nella tabella che pubblico qui sotto. Dove l’origine è obbligatoria basta leggere l’etichetta per scoprire quale sia il Paese da cui proviene l’alimento o le materie prime utilizzate nella sua preparazione. Negli altri casi bisogna cercare le referenze che dichiarano chiaramente «100% Italia». Personalmente parto dal presupposto che ove manchi l’indicazione d’origine si tratta di un alimento realizzato con ingredienti d’importazione.

ORIGINE UE E NON UE

Attenti alla dichiarazione «origine Ue» oppure «Ue e non Ue», molto diffusa ad esempio nella pasta e nell’olio extravergine d’oliva. Quando trovate queste definizioni siete in presenza di un prodotto non italiano. Purtroppo i regolamenti che disciplinano l’etichettatura sono di pertinenza esclusiva dell’Unione europea e non sono stati concepiti per assicurare ai consumatori la massima trasparenza. Ma questo è un altro discorso che merita di essere approfondito a parte. E mi riprometto di farlo presto.

I PARADOSSI DELL’ETICHETTATURA

Segnalo alcuni paradossi sull’etichettatura che sembrano fatti apposta per trarre in inganno i consumatori. Il più clamoroso riguarda la carne suina: se è fresca ha l’obbligo di indicare l’origine in etichetta, mentre quella trasformata, ad esempio i salumi, non devono dichiarare nulla. E avendo subito l’ultima «lavorazione sostanziale» nel nostro Paese – ad esempio la stagionatura – si possono definire addirittura «made in Italy». Discorso analogo per frutta e verdura: vendute fresche devono recare in etichetta il Paese di coltivazione, se trasformate possono ometterlo. Ecco perché è importante leggere sempre e comunque l’etichetta o il cartellino esposto sul bancone.

Non esitate a porre domande di ogni tipo: il Casalingo di Voghera è a vostra disposizione.

Commenti

In Evidenza

Exit mobile version