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Via le etichette d’origine sui cibi dal 1° aprile: ecco la verità

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Fra meno di un mese entra in vigore il Regolamento europeo 775 del 2018 sull’origine dell’ingrediente primario. E molti alimenti torneranno ad essere anonimi

Latte a lunga conservazione, formaggi, pasta, riso e sughi di pomodoro: il 1° di aprile rischiano tutti di perdere l’obbligo di indicare l’origine in etichetta. Ad abolirlo è il Regolamento Ue 775 del 2018 sull’etichettatura dell’ingrediente primario, ad esempio il latte per i formaggi e il grano per la pasta. Innanzitutto sgombriamo il terreno da un equivoco di fondo: ad allentare i vincoli sulla provenienza delle materie prime è la Commissione europea cui il Parlamento Ue assegnò il compito di rimediare a una solenne fregatura contenuta nel Codice Doganale comunitario.

L’articolo 60 del Codice doganale Ue, che ha introdotto il principio della «origine non preferenziale», recita infatti:

Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più Paesi sono considerate originarie del paese in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.

In base a questo meccanismo, ad esempio, un formaggio ottenuto in Italia a partire da latte francese, potrebbe definirsi italiano. Al pari della pasta fatta con grano duro canadese e del sugo ottenuto da pomodoro cinese. Troppo, perfino per i trafficoni di Bruxelles. Così il Parlamento Ue con il Regolamento 1169 del 2011 (Etichettatura alimentare) assegnò alla Commissione il compito di introdurre regole che potessero permettere ai consumatori di capire un po’ meglio da dove arrivino i cibi che mettono nel piatto.

Questo è l’antefatto politico che ha condotto al Regolamento 775, approvato due anni or sono. Ma è il classico caso in cui la pezza è perfino peggio del buco. Infatti l’obbligo di indicare l’origine dell’ingrediente primario scatta soltanto qualora sulla confezione compaiano simboli come bandierine, coccarde o nastrini tricolori oppure una qualunque evocazione di italianità. Ad esempio il classico Made in Italy, o ancora Prodotto in Italia. In questo caso diviene obbligatorio dichiarare l’origine dell’ingrediente primario.

ORIGINE PIANETA TERRA

Ma attenzione, non aspettatevi di trovare – tranne in casi rari – l’elenco dei Paesi di provenienza della materie prima. Il confezionatore, infatti, può cavarsela con una dichiarazione talmente generica che più di così non si può:

Origine Ue
Oppure, in alternativa:
Origine Ue e non Ue

In pratica un pastaio o un caseificio ci informeranno che maccheroni e formaggi sono fatti con ingredienti che provengono dal Pianeta Terra. A questo punto mi sento di suggerire ai soloni di Bruxelles una semplificazione suggerita dall’avvocato Dario Dongo, grande esperto di diritto alimentare. Per dire con semplicità che un cibo non proviene da Marte e neppure da Saturno basterebbe la sigla: OPT, Origine Pianeta Terra.

DECRETI SPERIMENTALI

I decreti legislativi con i quali l’Italia ha introdotto dal 2015 in poi l’indicazione d’origine obbligatoria per latte a lunga conservazione, formaggi, pasta, riso, e sughi di pomodoro, avevano tutti il carattere sperimentale. E sono stati approvati in deroga alle norme europee. Sono destinati a decadere il 31 marzo 2020, visto che il giorno successivo, il 1° di aprile, entrerà in vigore il nuove Regolamento Ue 775/2018. In assenza di novità questo è il percorso già scritto. La dichiarazione d’origine per l’ingrediente primario sarà obbligatoria soltanto qualora un prodotto evochi l’italianità dei suoi ingredienti. In assenza di riferimenti precisi l’origine potrà sparire dall’etichetta.

MA NON TUTTO È PERDUTO

Per fortuna resta aperto uno spiraglio. Un gruppo di Paesi contrari al passo indietro sulla trasparenza a tavola che ci aspetta, sta trattando con la Commissione europea per evitare la decadenza dei sistemi di etichettatura d’origine sperimentali. Si tratta di Francia, Italia, Spagna, Grecia e Portogallo che hanno presentato al Consiglio Agricoltura Ue del 16 e 17 dicembre un documento in quattro punti col quale chiedono all’Europa un ripensamento rispetto al colpo di spugna in arrivo il 1° aprile.

FARM TO FORK, DAL CAMPO ALLA TAVOLA

E qualcosa si sta muovendo. Iniziano a circolare le prime bozze sul Piano d’azione della strategia “Farm to Fork”, dal campo alla tavola, annunciata dal nuovo presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che dovrebbe essere pubblicato entro maggio dall’Eurogoverno. In base alle indiscrezioni che ho raccolto in questi ultimi giorni si sta trattando per mantenere l’origine obbligatoria su alcuni prodotti. In questo momento la Francia avrebbe ottenuto di conservare il Paese di provenienza su formaggi e preparazioni alimentari a base di carne. Ma alcuni Paesi, segnatamente Germania, Polonia, Danimarca e Olanda, restano contrari. Si studia una modifica legislativa (col passaggio al Parlamento Ue) del Regolamento 1169 del 2011. Nessuna intesa, neppure parziale, su pasta, riso, sughi di pomodoro. Pare tramontata definitivamente, invece, l’idea di rendere trasparente l’origine dei salumi, altro buco nero nei consumi alimentari: non a caso il decreto annunciato a fine dicembre dal governo Conte è stato congelato.

Ecco un breve riassunto per immagini di quanto sta accadendo. Ho disattivato l’auto play delle diapositive, quindi per passare da una alla successiva o alla precedente bisogna utilizzare le frecce.

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