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Via alle nuove multe per i furbetti dell’extravergine. Ma rischiano pure gli onesti

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Dal 1° luglio 2016 sono in vigore le nuove sanzioni destinate a punire il country sounding per l’olio extravergine d’oliva. Il Decreto legislativo 103 del 23 maggio 2016 (ecco il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) ha modificato le norme esistenti destinate a sanzionare i comportamenti fraudolenti nelle fasi di imbottigliamento e commercializzazione dell’oro verde. Le multe sono state inasprite, soprattutto per colpire chi falsifica l’origine dell’olio o trae in inganno i consumatori con simboli e denominazioni di fantasia, destinati a generare una falsa percezione sulla provenienza della materia prima.

Anche se il provvedimento non è esente da pecche, come vedremo più avanti, dovrebbe servire allo scopo. Contrastare cioè le falsificazioni che sono un fenomeno a dir poco imponente per l’extravergine. Pubblico qui a fianco una tabella che riassume tutte le novità e mette a confronto vecchie e nuove sanzioni. L’ho desunta da una circolare del Ministero delle Politiche agricole che potete consultare e scaricare qui. Ecco le novità principali.

L’origine della materia prima

La mancata indicazione geografica dell’olio extravergine in etichetta è punita con una multa da 2.000 a 12.000 euro. Può sembrare un’inezia, in confronto ai fatturati milionari realizzati dai taroccatori, ma vale la pena di considerare che fino al 30 giugno 2016 per questa fattispecie non era prevista alcuna sanzione. Stessa ammenda per chi dovesse inserire sulla confezione di vendita segni o diciture che evochino nei consumatori un’origine diversa da quella indicata per legge. È il caso, ad esempio, di bandierine, nastri e coccarde tricolori, ma anche di elementi del paesaggio che richiamino una determinata città o una zona della Penisola. Per un extravergine di origine «comunitaria», non si possono utilizzare ad esempio dei trulli perché lo assocerebbero alla Puglia.

È ugualmente vietata l’indicazione dell’origine qualora questa non sia annoverata dalla normativa dell’Unione europea. Secondo il diritto comunitario tutto quel che non è esplicitamente previsto è implicitamente vietato. Sarebbe passibile di sanzione, giusto per fare un esempio citato dalla circolare del Ministero, un Olio di Romagna, poiché, spiega il dicastero dell’Agricoltura, è previsto che «l’indicazione dell’origine faccia riferimento esclusivamente allo Stato membro, all’Unione europea, al Paese terzo oppure a una Dop/Igp».

Il paradosso fiorentino di Carapelli

Dunque no al nome geografico, se non si tratta di una Denominazione d’origine, a meno che il marchio o il «nome d’impresa» che lo contengano siano stati registrati «entro il 31 dicembre 1998, per i marchi nazionali (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi), oppure entro il 31 maggio 2002, per i marchi comunitari». In questo modo però si crea il paradosso per cui il gruppo anglo-spagnolo Deoleo può etichettare un olio comunitario con il marchio Carapelli Firenze, mentre i produttori di extravergine della Romagna non possono etichettare come Romagnolio il loro prodotto anche se effettivamente proviene da quelle terre. Disco verde, invece, alla Dop Colline di Romagna.

Basta giochetti con le etichette…

Molto importante l’articolo 6 del decreto che fa scattare la multa qualora l’origine dell’extravergine non compaia nel campo visivo principale, assieme alla denominazione di vendita e alla marca. In pratica nell’etichetta anteriore e con un corpo del testo omogeneo: non sono ammesse scritte di dimensioni microscopiche. Ecco i casi in cui scatta la sanzione (e che i consumatori possono segnalare con un esposto ai Carabinieri dei Nas o al Corpo forestale dello Stato):

denominazione di vendita e origine riportate solo nell’etichetta posteriore;
denominazione di vendita riportata nel campo visivo principale e origine riportata solo nella retro etichetta;
denominazione di vendita costituita da caratteri che non hanno le stesse dimensioni;
origine scritta con caratteri che non hanno le stesse dimensioni;
origine non riportata per esteso (es. «ITA» per Italia; «ES» per Spagna).

… Ma bisogna leggerle. E lo fanno in pochi

Naturalmente per capire cosa si mette nel carrello bisogna leggere con attenzione l’etichetta. E proprio qui sta la chiave di volta per capire cosa accada in realtà sul mercato al dettaglio dell’oro verde: sono pochi a farlo. Per avere un’idea sulla percezione che i consumatori hanno delle informazioni che possono vedere sulle confezioni dei prodotti alimentari, vi rimando all’indagine sulle casalinghe di Voghera che compare nella homepage di questo blog (ecco il link). Appena il 6% dei consumatori distingue i veri prodotti made in Italy perché cade nella trappola «marca italiana uguale cibo italiano». Per la stragrande maggioranza delle casalinghe che ho intervistato è stata una vera scoperta apprendere che l’olio e il formaggio acquistati da una vita non erano italiani.

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