FATTI

Tutta l’Expo in 11 parole

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Per capire il senso dell’Expo bisogna vederlo e rivederlo. Guardare, provare, fare mille domande. Non voglio vendervi una merce che non posseggo ancora: all’esposizione universale di Milano ci sono stato alcuni giorni e inizio a capire qualcosa. In attesa di compilare una guida ragionata all’evento dell’anno, almeno per quelli come me che vivono di alimentazione, ecco un primo assaggio.

DISTANZE

Palazzo Italia visto dal Decumano

Tutto all’Expo avviene su una scala che si può misurare per lo meno sulle centinaia di metri, se non addirittura dei chilometri. Per chi dovesse entrare ad esempio dalla Porta Triulza, quella che si utilizza arrivando alla stazione di Rho Fiera con la Metro rossa o col passante ferroviario, arrivare al capo opposto del quartiere fiersitico significa fare una scarpinata di almeno mezzora. Procedendo però a passo spedito. Mai sbagliare meta: se scopri di aver confuso sulla cartina un padiglione per un altro, rischi di buttare tempo prezioso. Mercoledì ho perso mezz’ora per aver dimenticato di fotografare il padiglioncino Citterio, situato nel Cardo. L’importante è mettere scarpe comode e ampiamente collaudate. Per le donne sconsigliatissime le calzature con i tacchi.

ITINERARIO

Il segreto per vedere il più possibile, senza perdere tempo e neppure sfinirsi dal camminare è definire un itinerario preciso. Nell’arco di una giornata,si possono vedere dieci, al massimo quindici padiglioni, procedendo di buona lena. E a meno di non passare le ferie a Rho è consigliabile disegnare sulla piantina le tappe della visita. Per ora non mi sento ancora di raccomandarvi nulla. Il mio consiglio è dedicare un paio di serate – dalle 19 l’ingresso costa appena 5 euro – per dare un’occhiata in giro. Alla fine si compera comunque a scatola chiusa. Personalmente ho visitato padiglioni che erano stati giudicati pessimi da amici e colleghi ma che alla fine mi hanno trasmesso qualcosa. Fra quelli che ho visto finora mi sento di indicarne tre: Brasile, Cibus è Italia, Coldiretti. Code permettendo, anche Palazzo Italia, mentre lascerei fra gli ultimi la Gran Bretagna.

RISPOSTE

Trovo nel complesso piuttosto deludenti le rispose al tema centrale dell’esposizione: nutrire il pianeta. Oltre il solito mantra della sostenibilità ambientale e della lotta allo spreco, non c’è molto di nuovo. E devo ancora capire cosa possa cambiare ad esempio per un indigente che abiti in uno a caso tra i Paesi nella fascia del Sahel se riesco a risparmiare la pattumiera ai cibi che acquisto. Mi sarei aspettato una fuga nel futuro in grande stile, ad esempio su nuovi metodi di coltivazione nelle zone aride. O sul trasferimento delle buone pratiche agricole, a buon mercato, da chi le applica con successo a quanti non ci riescono.So che al tema stanno lavorando al Parco Tecnologico di Lodi. Appena capisco di cosa si tratta ve ne darò conto.

ITALIA

Padiglione del vino, una sala

In ogni padiglione che ho visitato finora ho trovato qualcosa di interessante. Anche quando mi ha deluso, sono riuscito a cogliere comunque informazioni utili. Col Padiglione Italia no. Le aree espositive che si affacciano sul Cardo, il viale che taglia verticalmente l’esposizione da nord a sud, sono quasi interamente dedicate a marchi, organizzazioni e imprese made in Italy. Se si eccettua l’area posta all’apice orientale e destinata all’Unione europea, il resto avrebbe dovuto ospitare una sintesi della tavola tricolore. Casa Italia. Così non è: tranne Palazzo Italia e il padiglioncino Coldiretti, il resto è desolante: spacci aziendali camuffati da museo del cibo (Citterio e Granarolo), strutture non finite e altre inesistenti (Confindustria), bar, tavole calde, gelaterie, birrerie. Manca un’agenzia immobiliare e un centro benessere gestito dai soliti cinesi e il Cardo sarebbe la fotocopia di una via periferica di Milano. La peggiore delusione di tutta l’Expo. Dopo l’organizzazione, s’intende. Anche l’edificio del vino è in parte deludente: godibile la mostra situata al piano terra, trovo agghiacciante l’allestimento del primo piano, in stile 2001 Odissea nello spazio. La maniera «cantina» era probabilmente troppo scontata. Ma così è peggio.

PREZZI

Ce ne sono per tutti i gusti. L’importante è guardare bene i listini. Al padiglione della Spagna, ad esempio, propongono la pata negra, il caratteristico prosciutto iberico, a 40 euro l’etto. E mangiando ai ristoranti giapponesi è facile superare i 100 euro a coperto. Fortunatamente nelle tavole calde e nei fast food che costellano l’esposizione ci si può saziare a cifre accettabili. Nei padiglioni i prezzi salgono. Ma credo si possa accettare. Devo ancora verificare, invece, il livello dei prezzi dei ristoranti stellati.

DIGITALE (ma non troppo)

Gli effetti speciali più apprezzati all’esposizione universale, più che digitali sono elettronici (come quelli che governano l’Albero della vita). Che non sia aria per la tecnologia 2.0 si capisce subito dopo aver installato la app ufficiale di Expo, sviluppata da Accenture Italia. Dovrebbe fra l’altro sostituire la mappa cartacea. Non è così, visto che non è prevista la ricerca libera. Non c’è un campo «cerca» come per altro esiste da sempre perfino nella versione mobile dei blog più spartani. Vuoi visitare il padiglione Coca Cola? Devi cercarlo fra un menù degli espositori che è tutto fuorché razionale. Dalla voce «Esplora» si accede all’elenco dei soggetti presenti. Bisogna scorrerlo tutto e andare per tentativi. Sarà sotto la voce «Corporate»? No. La trovi sotto «Partner, non alla lettera C ma alla P: Padiglione Coca Cola! Un capolavoro di logica. Non c’è che dire.

METAFORE

In molti casi la scelta degli espositori è stata di giocare sulle metafore, per evitare la trappola di un racconto troppo didascalico. Purtroppo in molti casi il senso sfugge. E non c’è altro da fare se non chiedere spiegazioni allo staff del padiglione. Troppo stringate e prive di immagini  le descrizioni che fornisce la app ufficiale: ancora una volta si è persa un’occasione d’oro per utilizzare in maniera intelligente le tecnologie digitali. In alcuni padiglioni funzionano delle app locali, con risultati quasi mai all’altezza delle aspettative. C’è ancora tempo per rimediare. Basta volerlo.

ASSAGGI

Dopo i primi due giorni di apertura sono spariti gli assaggi. Non so dirvi se fosse previsto, anche se ricordo bene che nel corso di una delle numerose conferenze stampa di presentazione dell’evento il tema era fra quelli più dibattuti. Inutile fare i finti tonti. Se soltanto ciascuno degli 11 milioni di visitatori paganti che hanno acquistato il biglietto prima ancora dell’apertura, dovesse mangiare cibo gratis per un euro, uno solo, il conto sarebbe stratosferico. E insostenibile. Una soluzione ragionevole è quella adottata al padiglione del vino italiano: tre bicchieri (non colmi, naturalmente) 10 euro. Certo, per i Paesi più lontani ci sarebbe il problema degli approvvigionamenti di materie prime irreperibili qui da noi. Ma l’opportunità di far conoscere ai visitatori le specialità locali di mezzo mondo varrebbe lo sforzo. Inutile nascondersi che così i ristoranti potrebbero lavorare un po’ meno. E il business è business. Fra i pochi partecipanti che tuttora offrono degustazioni a fia’ d’oca (gratis in milanese), sono rimasti i russi e Coldiretti.

DIVERTIMENTO

Se non ci si aspetta la risposta a tutti i perché del mondo sull’alimentazione l’Expo è il posto più interessante da visitare a proposito di cibo da qui a ottobre. Un grande parco tematico, capace di offrire infiniti stimoli ai visitatori di ogni età e di tutte le estrazioni sociali. Col passare dei giorni si nota pure una sicurezza crescente negli staff dei Paesi partecipanti e l’accoglienza è decisamente migliorata. A conti fatti una giornata trascorsa all’esposizione universale, anche togliendosi qualche sfizio a tavola, non costa più di una domenica passata a Gardaland. Con una sola avvertenza: occhio ai listini dei ristoranti stellati e a quelli dei padiglioni stranieri, non sempre in evidenza.

SICUREZZA

Controlli a pettine ai varchi d’ingresso con tanto di metal detector come in aeroporto. Il quartiere fieristico di Rho è con ogni probabilità il posto più sicuro dopo Palazzo Chigi e il Quirinale. Col senno del poi erano del tutto fuori luogo le polemiche alimentate alla vigilia dai soliti specialisti della grana ad ogni costo. Ogni cento metri c’è una pattuglia di Polizia, Carabinieri o Guardia di Finanza. Più un numero imprecisato di agenti in borghese. All’interno di alcuni padiglioni, poi, a un’attenta osservazione si possono individuare incaricati della sicurezza a cui non sfugge nulla. Neppure Fort Knox, dove sono custodite le riserve auree americane, è impenetrabile. Ma all’Expo gli apparati di sicurezza stanno facendo tutto il possibile.

TRAFFICO

Da pendolare che entra a Milano ogni mattina e ne esce la sera, ero preoccupato di rimanere bloccato da ingorghi epocali. Per ora nulla di tutto questo. Ho notato, questo sì, un aumento del traffico sulla tangenziale ovest. Per ora sopportabile. Ogni weekend però è una prova del fuoco. Alla fine ho deciso di utilizzare la metropolitana rossa per raggiungere il quartiere espositivo. Da Porta Venezia a Rho Fiera sono 19 fermate, una mezz’ora buona. Ma la frequenza dei convogli è molto alta e non sono mai in ritardo né troppo affollati. Onore all’Atm, l’azienda dei trasporti municipali di Milano, che si è preparata per tempo e ha predisposto un ottimo piano per l’Expo.

Per ora mi fermo qui.  Il prossimo obiettivo è quello di pubblicare delle recensioni sintetiche dei padiglioni, a blocchi di cinque, che andranno a comporre la mia personalissima classifica.

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