TERRITORIO

Nostrano, casereccio, tipico: la trappola dei cibi del territorio

Pubblicato

il

Attenzione alle qualificazioni arbitrarie attribuite ai cibi: non sono indicazioni facoltative, previste dei regolamenti e quindi nessuno le controlla

I mercati di consumo traboccano di prodotti che si spacciano per quel che non sono. Formaggi caserecci. Salame nostrano. Preparazioni di gastronomia tipiche. Ma cosa si cela dietro queste definizioni? Possiamo fidarci quando un negoziante ci propone dei salumi nostrani? Oppure se sul bancone fa bella mostra un burro paesano o un sugo rustico? Purtroppo si tratta di indicazioni arbitrarie, spesso aggiunte dal venditore, per valorizzare l’offerta. Indicazioni che però non significano proprio nulla e alla fine contribuiscono pure a creare confusione fra i consumatori, già alle prese con giganteschi problemi quando si tratta di riconoscere un prodotto 100% italiano da uno importato.

PRODOTTI DI MONTAGNA

Le qualificazioni usate per caratterizzare le denominazioni di vendita si sprecano. L’unico limite è dettato dall’esistenza di sinonimi e dalla fantasia dell’offerente. Per contro, di recente, è quasi sparita una definizione che per decenni ha spopolato, soprattutto sui banchi dei mercati rionali di provincia. Parlo dei presunti prodotti «di montagna» che si sono rarefatti dopo l’approvazione, nel 2017, di un decreto del Ministero delle Politiche agricole (n. 57167 del 26 luglio 2017) che fissava proprio le regole indispensabili per poter inserire in etichetta l’indicazione facoltativa «Prodotto di montagna». Utilizzando anche un marchio riconosciuto. Per definirsi tale un qualunque cibo dev’essere:

  • ottenuto da animali allevati nelle zone di montagna e ivi trasformato (uova, latte, ecc.);
  • derivante da animali allevati, per almeno gli ultimi due terzi del loro ciclo di vita, in zone di montagna, se i prodotti sono trasformati in tali zone (carni, ecc.);
  • derivante da animali transumanti allevati, per almeno un quarto della loro vita in pascoli di transumanza nelle zone di montagna;
  • dell’apicoltura, se le api hanno raccolto il nettare e il polline esclusivamente nelle zone di montagna;
  • di origine vegetale, unicamente se le piante sono coltivate nelle zone di montagna.

 

Il fatto che di molti sedicenti prodotti di montagna si siano perse le tracce è una spia indiretta di quanto sia insidiosa l’etichettatura dei cibi.

Purtroppo per tutti gli altri casi di definizioni evocative di un legame reale o presunto con un territorio, non esistono regole. Nostrano, casereccio, tipico, al pari di genuino, rustico, schietto, non sono «indicazioni facoltative» normate dai regolamenti europei sull’etichettatura dei cibi e neppure dalle disposizioni italiane che li integrano. Non sono vietate, ma nessuno può garantire nulla sulla loro veridicità.

METODO DI STAGIONATURA

Un salame, ad esempio, può essere nostrano semplicemente perché il metodo di preparazione o di stagionatura segue un’antica ricetta. Ma non è detto che la materia prima sia locale e neppure che il salumificio dove si sia svolta la sua lavorazione si trovi nella zona in cui il salame viene commercializzato.

Identico il discorso per i tipici. Oltre la presunta ricetta tradizionale gli alimenti presentati come tali possono non avere alcun legame col territorio cui si richiamano, se non la sede dell’esercizio commerciale che li propone. Dunque, occhio a cosa portate a casa, perché non c’è modo di verificare nulla sulla declamata tipicità di un alimento. Men che meno sull’origine degli ingredienti utilizzati nella preparazione dei tipici.

Naturalmente questo non significa che non vi siano prodotti veramente del territorio. Anzi. Ci sono, eccome. Si tratta di accertarne la provenienza e il luogo in cui siano stati trasformati o confezionati. E quasi mai è semplice.

Commenti

In Evidenza

Exit mobile version