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Non mangio olio di palma. Ma non mi sento un terrorista alimentare

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Il Casalingo di Voghera ha eliminato l’olio di palma dalla propria tavola. È un po’ che volevo scrivere questo post. Mi sono deciso a farlo leggendo le dichiarazioni del viceministro dell’Agricoltura Andrea Olivero al convegno organizzato dalla Ferrero dal titolo profetico: «Olio di palma, una scelta responsabile basata sulla scienza», iniziativa – si legge nel comunicato di chiusura – «promossa da Ferrero, azienda alimentare dalla consolidata esperienza nella selezione e lavorazione di olio di palma di qualità». Amen.

L’ACCUSA DI OLIVERO: DISINFORMAZIONE A TAVOLA

Andrea Olivero

Non voglio entrare nella polemica infinita sulla salubrità presunta (molto presunta) del grasso tropicale. Me ne sono sempre tenuto alla larga e non ci entrerò certo ora. Mi ha colpito, però, quanto dichiarato dal viceministro delle Politiche agricole, Andrea Olivero, che nel corso dell’evento ha parlato di «terrorismo della disinformazione alimentare».

CONTRO I PAESI A BASSO COSTO DEL LAVORO

Altra perla uscita dal convegno è quella regalata agli astanti da Giovanni Fattore, direttore del Dipartimento di analisi delle politiche e management pubblico dell’Università Bocconi. A proposito delle campagne di comunicazione che Ferrero bolla stizzosamente come «marketing del senza» (senza olio di palma, naturalmente) Fattore espone una teoria socio-antropologica a dir poco offensiva. «Trovo possibili due spiegazioni non alternative», argomenta Fattore, «la prima è che i temi della salute alimentare e della sostenibilità ambientale siano diventati un’arma impropria per lotte commerciali tra prodotti, aziende e persino paesi». Fin qui nulla di nuovo, anzi. Il terreno di competizione e di scontro utilizzato dalla pubblicità è per definizione illimitato. «La seconda spiegazione», prosegue il bocconiano, «riguarda la diffidenza per un prodotto tipico dell’Africa prima e dell’Asia dopo. La sensazione che su questo olio sia presente una forma sottile di razzismo: perché coltivato in paesi a basso o medio reddito e perché è sempre stato un prodotto d’importazione di successo in quanto estremamente efficiente da un punto di vista dell’impiego di risorse naturali e umane».

L’APARTHEID DEL CIOCCOLATO

Ecco l’asso di briscola. Se ti dichiari contro l’olio di palma e scegli i prodotti che ne sono esenti sei un razzista! L’accusa più infamante in una società dove rischi di finire all’indice anche solo a non professarti favorevole alla politica dell’accoglienza e dell’integrazione. Basta il silenzio per rischiare la gogna. Figuriamoci a dire no a un prodotto che viene da un Paese abitato da persone diverse da te e il cui lavoro costa poco.

Così la libera scelta di consumatore diventa un difetto antropologico ingiustificabile. Il no all’olio di palma evoca scenari da segregazione razziale. Per non parlare poi del terrorismo alimentare che compie chi si dichiara contrario al grasso tropicale. Roba da finire nell’elenco dei reclutatori dell’Isis attenzionati dalle polizie di tutta Europa.

ME NE FREGO!

Ebbene, cara Ferrero, mi dispiace deluderti. Ho bandito il grasso di palma dalla mia tavola, assieme a tutti i prodotti che lo contengono. Ma non mi sento un razzista o un terrorista. E rivendico il diritto di escludere dalla mia dieta ciò che voglio, senza che questo comporti la mia scomunica.

In definitiva, cara Ferrero, sai cosa penso dei tuoi anatemi? ME NE FREGO!

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