ETICHETTE

Marca italiana non vuol dire cibo italiano

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Fra gli errori commessi dai consumatori quello più ricorrente e più insidioso è pensare che la marca italiana identifichi un alimento interamente nazionale.

Mangiate italiano. Comprate italiano. Portate a tavola l’Italia. L’emergenza legata al virus ha fatto scattare una gara di solidarietà fra i consumatori, con l’obiettivo di privilegiare i cibi tricolori per aiutare i nostri produttori, messi in ginocchio dal blocco delle attività. E dalla chiusura di bar, pizzerie e ristoranti. Ma siamo sicuri di acquistare davvero alimenti nazionali? Ed è semplice distinguerli sui banconi dei supermercati? Due domande le cui risposte sono fondamentali per capire cosa stiamo acquistando.

CONFUSIONE VOLUTA (DAI TEDESCHI)

Purtroppo le risposte a questi due quesiti sono negative: non solo non è facile distinguere i veri cibi italiani, ma è ancora più difficile cercare di capire come farlo. E la marca italiana non aiuta, anzi: complica le cose. L’ho scritto innumerevoli volte ma lo ripeto pure qui: la confusione non è casuale. L’etichettatura degli alimenti avviene in base ai regolamenti europei, scritti nel corso del tempo non per assuicurare la trasparenza a tavola, ma per assecondare i desiderata dei Paesi esportatori di derrate alimentari: Germania, Olanda, Danimarca, Francia, Polonia. I tedeschi hanno tutto l’interesse che la carne dei loro maiali impiegata in Italia per realizzare i salumi non sia riconoscibile in etichetta. Altrimenti i consumatori potrebbero privilegiare le preparazioni 100% italiane. Ma questa è politica alimentare e mi fermo qui.

TRAPPOLA NUMERO 1: LA MARCA

Fra le tante trappole di cui è cosparso il cammino dei consumatori sui sentieri della spesa una è senz’altro la più subdola e al tempo stesso la più facile da smascherare: la marca. Il brand. E questo perché inconsciamente, chi più chi meno, tendiamo tutti a fare una equivalenza: marca italiana uguale prodotto italiano. Purtroppo non è così, in tutte le merceologie alimentari. Uno dei casi più clamorosi è quello dell’olio extravergine d’oliva. La medesima marca è presente sui banconi con prodotti dall’origine molto diversa. Carapelli, ad esempio, commercializza diversi tipi di olio, alcuni dei quali rigorosamente ottenuti da materia prima italiana e gli altri «origine Ue». Nella immagine qui sotto si vede il Carapelli Delizia (Origine Ue) e  il Carapelli Oro Verde, 100% italiano tracciato.

REFERENZE COINVOLTE

Lo stesso discorso vale per tutte le referenze alimentari: pasta, riso, conserve animali e vegetali, salumi e insaccati. Tutti i cibi lavorati e confezionati, posti in vendita sotto la marca del produttore o del confezionatore si prestano alla trappola del brand. Fino a una decina di anni or sono la confusione (e dunque il rischio di prendere per italiano un prodotto importato) era massima. Negli ultimi anni, grazie alle pressioni di alcune organizzazioni di agricoltori, prima fra tutte Coldiretti, la situazione è un po’ migliorata.

ORIGINE IN ETICHETTA

Ora sono parecchie le referenze alimentari che devono indicare in etichetta, obbligatoriamente, l’origine della materie prima o per lo meno dell’ingrediente primario impiegato nella loro preparazione, ad esempio il grano duro per la pasta o il latte per formaggi e latticini. Questo però è un discorso molto vasto che merita di essere approfondito a parte. Ed è proprio quel che farò presto.

Nel frattempo potete dare un’occhiata a questo articolo in cui racconto gli errori più frequenti che possono commettere i consumatori nel valutare le etichette alimentari.

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