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La schita di Voghera, un alimento da riscoprire e valorizzare

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La schita di Voghera è sicuramente fra le specialità tradizionali che meriterebbero una sorte ben diversa da quella che la storia gastronomica ha riservato loro. Per chi non la conoscesse si tratta di una frittella fatta con ingredienti poveri: farina, acqua, sale e olio per friggere o strutto. In pratica una crêpe suzette senza uovo, anche se fra le innumerevoli ricette pubblicate, qualcuna – sbagliando – lo prevede.

Il metodo di preparazione è semplice, a prova di analfabeta dei fornelli, ma fare una schita buona non è facile come si potrebbe pensare. Il segreto sta nell’impasto e nella cottura che avviene in padella, ad alta temperatura e con tempi precisi. Ma andiamo con ordine.

UN PO’ DI STORIA (MA NON TROPPO)

Le origini della focaccina dell’Oltrepò si perdono nella notte dei tempi. C’è chi la fa risalire le prime tracce della preparazione a un periodo fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Più o meno negli anni in cui gli eserciti di Napoleone Bonaparte cambiavano il volto politico e sociale dell’Europa. Ma secondo alcune fonti la ricetta verrebbe addirittura dal Neolitico, anche se la base sarebbe stata la farina di farro e di orzo.

In epoche ben più recenti, segnatamente negli ultimi due secoli, la povertà degli ingredienti avrebbe condannato la schita d’la nòna (letteralmente: la schita della nonna) a restare fra le preparazioni talmente popolari da non meritare neppure una citazione nei testi della cucina classica italiana. Ma questa condanna all’oblio è stata ampiamente riscattata nell’ultimo decennio grazie ai social media che ne propongono infinite varianti, accompagnate talvolta pure da ricette illustrate. Come quella pubblicata dal noto portale Giallozafferano.it.

IL RISULTATO FINALE

La schita di Giallozzafferano.it

Come sempre, a decretare la riuscita della preparazione è il risultato finale. E a vedere le immagini della schita che si trovano sul web, è lecito farsi venire il dubbio che ciascuno la interpreti a modo suo. E questo, in cucina, non va bene. Ma forse è semplicemente la sorte che tocca ai cibi meno blasonati.

Il prodotto finito, dev’essere sottilissimo e va mangiato subito, appena cotto. A differenza della piadina romagnola, la frittella dell’Oltrepò non ha una vita lunga lontano dai fornelli. Prima si mangia meglio è.

LA RICETTA

Un’altra versione della schita

Il metodo di preparazione è lineare, ma non per questo scontato. Innanzitutto si versano 150 grammi di farina di grano tenero in una terrina e si bagnano con l’acqua: 30 centilitri dovrebbero bastare. Se fosse troppa basta aggiungere una manciata di farina. L’importante è che l’impasto sia consistente ma fluido al punto da essere versato con un mestolo nella padella. A questo punto serve un pizzico di sale. Poco, però. L’impasto si ottiene con una comunissima frusta da cucina. È bene impastare parecchio per sciogliere gli eventuali grumi che potrebbero pregiudicare la qualità della frittella. C’è anche chi aggiunge un cucchiaino da caffè di olio extravergine per rendere più elastico l’impasto. Fate voi.

E ORA IN PADELLA

A questo punto è arrivato il momento di versare il risultato delle nostre fatiche nella padella che dev’essere rovente e unta con strutto oppure olio d’oliva. La mestolata di impasto deve essere versata in maniera uniforme, in modo da ottenere un disco sottile. L’ideale è versare l’impasto senza soluzione di continuità, muovendo in cerchio il mestolo di cui si utilizza la parte inferiore per stenderlo uniformemente nella padella. Basta meno di un minuto per far assumere alla schita una consistenza tale da poterla capovolgere, sempre in padella, per cuocerla su ambo i lati. Quando assume una colorazione dorata – attenti a non farla bruciare – è pronta per essere impiattata.

LE (INFINITE) VARIANTI

Rispetto alla ricetta classica ci sono numerose varianti, anche se personalmente eviterei di elaborare troppo la preparazione per non snaturare il prodotto finito. La più nota di tutte è la schita dolce che si ottiene banalmente aggiungendo una spolverata di zucchero appena impiattata. Giallozafferano.it, nel blog La cucina di Lice la propone con tre uova intere e mezza bustina di vanillina, cospargendo la superficie in uscita dalla padella con zucchero a velo.

Da bambino ho mangiato spesso la schita dolce, anche se ora la preferisco assieme ai salumi locali dell’Oltrepò, il Salame di Varzi Dop o la Mundiöla di Montesegale.

Ecco comunque gli ingredienti…

  • 150 grammi di farina
  • 30 centilitri di acqua
  • un pizzico di sale fino
  • due cucchiai di strutto o di olio d’oliva leggero
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