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La scalata francese ai nostri formaggi: cosa rischiamo davvero

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Oramai è ufficiale. Sicuro. I francesi di Lactalis hanno fatto un’offerta per acquisire il 100% di uno dei gioielli della formaggeria italiana, la Nuova Castelli di Reggio Emilia: tredici stabilimenti e tre all’estero, un fatturato di 460 milioni di euro l’anno, ma soprattutto primo esportatore di Parmigiano Reggiano. Non un’azienda qualunque. Al contrario. Con il latte raccolto nella Pianura Padana la società che fino a pochi anni fa era saldamente nelle mani della famiglia di Dante Bigi, produce ben sei fra i più importanti formaggi italiani a Denominazione d’origine protetta: Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Taleggio, Gorgonzola, Pecorino Toscano e Mozzarella di Bufala Campana.

LE DOP NON SI DELOCALIZZANO

L’operazione è pericolosa per il made in Italy. Ma non perché il colosso di proprietà dei Besnier possa portarci via fisicamente queste produzioni. Le Dop sono vincolate a una materia prima legata al territorio e alla produzione negli impianti situati situati in uno o più comuni, previsti dal disciplinare di produzione, che è una specie di Bibbia laica ma inviolabile. Il presidente del Consorzio di tutela del Parmigiano Dop Nicola Bertinelli può anche smettere di agitarsi: chi sta seguendo la vicenda, come il sottoscritto, è perfettamente consapevole che le Dop non possono essere delocalizzate. Se ha la pazienza di seguirmi, magari capisce il motivo della mia preoccupazione. Un timore che condivido con parecchia gente.

Il rischio è un altro e riguarda gli anelli a monte della filiera lattiero-casearia. Lactalis già controlla quasi un terzo del latte italiano che trasforma e vende con i marchi storici della formaggeria tricolore acquisiti nel corso degli ultimi quindici anni: Invernizzi (nel 2003), Cademartori (2005), Galbani (2006), Locatelli (2008), Parmalat (2011) e attraverso l’ex gioiello di Calisto Tanzi, Latterie Friulane (2014). Senza contare i marchi che ha trovato in pancia a questi grandi player, vale a dire Bel Paese, Certosa, Galbanino, Galbanetto, Santa Lucia, Vallelata. 

I francesi esercitano già un potere contrattuale enorme nei confronti degli allevatori italiani. L’acquisizione della Nuova Castelli concentrerebbe nelle loro mani la quota maggioritaria del mercato di trasformazione del latte. C’è il rischio concreto di creare un monopsonio: moltissimi produttori di materia prima, ma pochi acquirenti. L’esatto contrario del monopolio, un cartello in cui pochi produttori controllano l’offerta e fanno il prezzo imponendolo poi a una moltitudine di acquirenti.

MONOPSONIO PERICOLOSO

Il monopsonio è ugualmente pericoloso. Soprattutto qualora le quote di produzione di un formaggio Dop sono assegnate ai caseifici e non agli allevatori. Chi trasforma il latte ha tutto l’interesse che la materia prima abbondi per poter pagare meno gli allevatori e far costare meno il formaggio quando lo vende alla grande distribuzione. Ne sanno qualcosa gli allevatori sardi che conferiscono il latte ovino per fare il Pecorino Romano Dop. Tremo al pensiero delle quote di produzione del Grana Padano in mano ai francesi.

Ecco, il rischio reale è questo. E a correrlo sono gli anelli più deboli della catena che porta dalle stalle al bancone del supermercato. Vale a dire gli allevatori.  Il furto non sarebbe tanto sulle Dop che non possono spostarsi di un millimetro. Quanto sul valore della materia prima. E  sarebbero i produttori di latte che fornirebbero ai francesi lo strumento per far calare i prezzi all’origine, sotto forma di sovraproduzione di latte rispetto a quello necessario per tenere in equilibrio la filiera. Un film già visto in Sardegna con il Pecorino Romano. Non vorrei assistere a una replica in Pianura Padana.

NON FACCIAMO CONFUSIONE

Infine una considerazione sull’assetto proprietario della società. È vero che la Nuova Castelli fa capo al fondo inglese Charterhouse dal 2014, da quando cioè Dante Bigi ha ceduto agli inglesi l’80% del pacchetto azionario. Ma un conto è una partecipazione finanziaria come quella esercitata da un fondo d’investimento. Un’altra cosa è l’acquisizione totalitaria da parte di un oligopolista come Lactalis. Chi dimentica questo dettaglio o non sa nulla di finanza oppure è in malafede. O ancora si può annoverare fra la vociante canea dei liberisti col portafoglio degli altri che abbondano anche alle nostre latitudini.

Permettetemi di chiudere, cari lettori, con una considerazione politica, utile a sgombrare il campo da un equivoco che impazza sui social media. Il governo italiano, non può far nulla per impedire operazioni come questa che avvengono fra due soggetti privati, per di più comunitari. Soltanto nei regimi totalitari lo Stato può ingerirsi negli affari fra privati. Nella Corea del Nord di Kim Jong-un e nel Venezuela di Nicolas Maduro il governo potrebbe bloccare la compravendita di una società come la Nuova Castelli. Da noi non è possibile. Siamo in un Paese dove vige la libertà d’intrapresa e in cui il mercato è aperto. Piange il cuore anche a me vedere uno dei nostri gioielli finire in pancia ai colosso dei Besnier. Ma legalmente (e pure politicamente) non c’è nulla da fare.

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