ETICHETTE

La birra artigianale non è più fuorilegge

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Produrre (e vendere) birra artigianale non è più fuorilegge. A sanare un paradosso che durava da decenni interviene una norma inclusa nella legge approvata il 7 luglio 2015 sulla competitività nel settore agricolo. Gli articoli dedicati alla «bionda» sono due, il 35 e il 36. Ecco il link da cui scaricarli. Il divieto di etichettare una birra come artigianale traeva origine dal combinato disposto (cioè dall’effetto congiunto) della legge del 1962 che ne regola tuttora produzione e commercializzazione e dall’orientamento comunitario. Secondo la Commissione europea tutto quel che non è esplicitamente previsto dalle norme è implicitamente vietato. Come non è possibile indicare l’origine sulle bottiglie dell’olio d’oliva non extravergine, era proibito scrivere in etichetta BIRRA ARTIGIANALE.

L’articolo 35 della legge stabilisce le caratteristiche del prodotto e del produttore. E va letto molto attentamente:

Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di birra prodotte per conto di terzi.

Dunque il prodotto artigianale non può essere né pastorizzatomicrofiltrato. Una prescrizione che restringe molto il campo della nuova denominazione di vendita e mette al sicuro da possibili furbate messe in campo da industriali molto disinvolti e che magari hanno il core business in altri comparti dell’alimentare. Il birrificio, inoltre, non può essere emanazione di un grande gruppo ed è tenuto a utilizzare propri impianti, «fisicamente distinti» da quelli di qualsiasi altro produttore. È esclusa, dunque, la possibilità di limitarsi ad etichettare birra artigianale fatta da altri, una pratica non infrequente sul mercato.

Infine il quantitativo. Venti milioni di litri sono un bel numero. Fin troppo alto rispetto alle potenzialità produttive del settore e della maggior parte delle imprese artigianali. Roba da portare a casa ricavi non inferiori ai 50 milioni l’anno, un fatturato su cui campano parecchie aziende manifatturiere di medio-piccole dimensioni. Un aspetto da verificare con la filiera.

E proprio a proposito della filiera, l’articolo 36 della legge introduce interventi a favore della filiera italiana del luppolo. Un ingrediente di cui siamo fortemente deficitari ma che al contrario, con opportuni accordi fra agricoltori e birrifici, potrebbe assicurare un’adeguata remunerazione a chi lo coltiva e nuove possibilità di caratterizzazione per quanti lo utilizzano nei processi produttivi. Vale la pena di notare che la norma appena introdotta prevede «la ricostituzione del patrimonio genetico del luppolo» e «l’individuazione di corretti processi di meccanizzazione». Già, perché negli ultimi decenni ne abbiamo dimenticate numerose varietà e abbiamo pure disimparato a coltivarlo.

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