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Curtiriso amaro: tricolore italiano, ma riso spagnolo

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Una scatola di un bianco candido su cui campeggia il tricolore. Assieme all’inconfondibile logo Curtiriso: una mondina col cappello di paglia. Roba d’altri tempi quando il riso che arrivava sulle nostre tavole era sicuramente italiano. Ora no. Perché dentro la confezione, pur guarnita su tutte le facce col nastro bianco, rosso e verde c’è del riso spagnolo. E per scoprirlo non ci sono voluti i Nas e neppure i Carabinieri Forestali. Si è trattato, per così dire, di un’autodenuncia. Nel lato inferiore della confezione, quello che appoggia sullo scaffale del supermercato compare la provenienza del cereale, con le diciture previste dalla legge.

Paese di coltivazione del riso: Spagna
Paese di lavorazione: Spagna
Paese di confezionamento: Italia

La confezione Curtiriso che dichiarava come origine della materia prima la Spagna

Dunque più che tricolore la materia prima è bicolore. Gialla e rossa, come i colori della bandiera iberica. E a scoprire il «trucco» è stata Federconsumatori Pavia che ha inviato subito una lettera all’azienda di Valle Lomellina e all’Antitrust.

CASCINALI STORICI

Fra l’altro sulla confezione tarocca compare una descrizione del riso italiano, con riferimenti espliciti alla Lomellina, che ospita la sede di Curti, e addirittura ai cascinali della zona. Vestigia di un passato agricolo sfregiato da chi lo vorrebbe esaltare. L’azienda ha fatto sapere che «è scattato immediatamente il richiamo della merce dagli scaffali». Di riso spagnolo naturalizzato italiano ne era stato distribuito parecchio. Per la precisione 9 tonnellate; 9mila scatole come questa che vedete nel post.

ERRORE UMANO

Resta da capire cosa sia successo. Mi risulta difficile pensare che una riseria così nota sia talmente sprovveduta da mettere in commercio un prodotto «fuorilegge» pensando di farla franca. Dev’esserci altro. «L’azienda ha parlato di errore umano e di stress, una spiegazione che non ci soddisfa – sottolinea il presidente di Coldiretti Pavia, Stefano Greppi che si domanda: «Si trattava di riso destinato alla Spagna oppure all’Italia? Perché le confezioni riportavano illustrazioni e scritte che facevano pensare al Made in Italy? Riteniamo», conclude, «sia necessario fare maggiore chiarezza».

SCAMBIO DI DEPOSITO?

Ci prova l’ad della Curtirso, Mario Francese, che parla di «errore umano». Gli addetti al confezionamento avrebbero «confuso il deposito del riso italiano con quello spagnolo». Ma possibile che nessuno abbia dato almeno un’occhiata alle confezioni prima di spedirle ai punti vendita? E cosa ci faceva il riso spagnolo nello stabilimento di Valle Lomellina? Qual è la linea di prodotti in cui viene impiegato? Con quale etichettatura?

Tutti interrogativi ai quali dovrà dare una risposta l’Antitrust, auspicabilmente con l’aiuto di inquirenti avvezzi a destreggiarsi fra etichette, dichiarazioni d’origine e confezioni alimentari.

Vedremo. Anche perché incombe il pericolo che con l’entrata in vigore nell’aprile 2020, del regolamento Ue sull’ingrediente principale, decada l’obbligo di indicare l’origine per oltre un terzo del carrello della spesa, dai formaggi al latte a lunga conservazione. Fino al riso.

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