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Con il codice a barre non si capisce se un prodotto è italiano

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L’insieme di linee e numeri che si trovano sulle etichette di cibi e manufatti conduce al titolare del marchio e non al Paese di provenienza.

Occhio alla trappola del codice a barre. Circola da anni, sul web e di recente sui social media, una bufala che ha alimentato equivoci a non finire. Dalla lettura delle prime tre cifre scritte sotto al codice a barre si può risalire all’origine del prodotto. Stabilire cioè se un pacco di pasta, un vasetto di sugo o un vassoio di prosciutto preaffettato siano italiani oppure no.

Se ne parla da tempo di questo (presunto) trucco per smascherare gli alimenti importati e cito uno dei tanti siti che ne parlano erroneamente «fare una scelta d’acquisto più consapevole». Il tema è ritornato d’attualità ora che in tanti si ingegnano per cercare di mettere nel carrello della spesa i cibi 100% italiani. Ma se non è facilissimo dalla lettura dell’etichetta capirne la reale origine, con il codice a barre rischiamo di acquisire informazioni fuorvianti.

PROVENIENZA LEGALE

Il codice a barre è infatti uno strumento fondamentale per la tracciabilità dei prodotti, ma non è il mezzo migliore per essere certi dell’origine di quanto stiamo acquistando. Le prime tre cifre, infatti, non indicano il Paese di provenienza del prodotto, ma il Paese in cui ha sede legale il proprietario del marchio. E non sempre la sede legale coincide con quella del Paese ove risiede il produttore e dove si trova lo stabilimento di trasformazione o confezionamento.

Men che meno il bar code racconta qualcosa sul Paese di origine delle materie prime utilizzate né sull’ingrediente primario. Può accadere ad esempio che un formaggio sia stato prodotto in Francia con latte di quel Paese, importato in Italia e venduto con marchio italiano. Il  suo codice a barre indicherà come prime tre cifre 800, dal momento che la multinazionale francese che lo ha prodotto ha sede legale anche in Italia. Ma questo formaggio è tutto fuorché italiano. Anzi, di made in Italy non ha proprio nulla. Nemmeno la confezione.

LA CODIFICA PER PAESE

L’equivoco nasce dal fatto che in effetti le prime cifre identificano il Paese in cui ha sede il titolare del marchio. Le prime 3 cifre identificative dell’Italia nei codici a barre vanno dall’800 all’830, come per la Francia vanno dal 300 al 379 e per la Germania dal 400 al 440. Mentre ci sono Paesi con una merceologia meno vasta che hanno un codice unico. È il caso ad esempio della Bulgaria che ha solo il 380 o della Slovenia cui è stato attribuito il 383.

Ad attribuire il codice a barre, nel nostro Paese, è Gs1 Italy, una associazione senza scopo di lucro che riunisce 35 mila imprese di beni di largo consumo e assicura che il barcode identifichi in maniera univoca il prodotto per il quale è stato richiesto.

I CODICI QR

Da qualche anno si sono diffusi, in aggiunta ai codici a barre, anche i codici QR, dei codici a barre bidimensionali, che a differenza dei barcode non utilizzano delle linee ma un insieme di punti racchiusi in una cornice. I QR code (abbreviazione di Quick Response, codici a risposta rapida) sono concepiti per essere letti da gli smartphone e solitamente rimandano a siti, pagine web o addirittura ad applicazioni per il cellulare che raccontano parecchio sui prodotti che li riportano sulla confezione. Sfortunatamente non c’è alcun ente che certifichi l’attendibilità delle informazioni così richiamate. Dunque, pure in questo caso, meglio non prendere per oro colato i contenuti cui si accede dai codici QR.

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