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C’è poco da festeggiare: Pernigotti sarà fatta a pezzi e il grosso andrà in Turchia

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La Pernigotti, storica società dei gianduiotti, nata a Novi Ligure nel 1860, chiuderà. Il «salvagente» lanciato dalla proprietà turca ai 100 operai licenziati puzza di fregatura lontano un chilometro. Dopo le polemiche scaturite dall’annuncio dell’azienda che fa capo ai fratelli Ahmet e Zafer Toksoz di chiudere il sito piemontese e trasferire la produzione a Istanbul (qui il post dove lo racconto), c’è stata una retromarcia. Ma soltanto apparente.

«Come già ribadito anche in sede di confronto con le parti sociali, nel rispetto della storicità del brand Pernigotti e con l’obiettivo di mantenere la qualità distintiva dei propri prodotti», fanno sapere i vertici aziendali in una nota, «la società sta procedendo all’individuazione di partner industriali in Italia a cui affidare la produzione, coerentemente anche con l’obiettivo di cercare di ricollocare il maggior numero possibile di dipendenti coinvolti presso aziende operanti nel medesimo settore o terzisti. A tal fine stiamo già dialogando con alcune importanti realtà italiane del settore dolciario».

SOLLEVATI MA NON TROPPO

Tutto bene, dunque? A leggere le dichiarazioni di sollievo di alcuni sindacalisti sembrerebbe di sì. «È una bella notizia il fatto che la società, per la produzione, abbia deciso di individuare nuovi partner in Italia per salvaguardare i cento dipendenti della Pernigotti. In tal senso, auspico che si arrivi a un accordo nel più breve tempo possibile», ha annunciato il segretario generale dell’Ugl, Paolo Capone.

Ma siamo sicuri che sia così? Personalmente penso proprio di no. Proviamo a mettere in fila i fatti.

Primo fatto. I turchi confermano implicitamente la chiusura dello stabilimento di produzione a Novi Ligure.
Secondo. Stanno sì individuando alcune aziende dolciarie italiane a cui affidare le produzioni che azzerano nello storico impianto alessandrino, ma con queste società terze sottoscriveranno dei meri contratti di fornitura.
Terzo. I dipendenti tagliati nella sede storica verranno spalmati fra le aziende fornitrici. Con quali garanzie non si sa.
Quarto. Una bella fetta delle produzioni storiche della Pernigotti sono già state delocalizzate in Turchia. È il caso delle creme spalmabili al cioccolato, dei torroni e delle uova di Pasqua.
Quinto. Rotto il legame con il polo produttivo novese, sarà un gioco da ragazzi trasferire quel che resta, in un colpo solo o a pezzi, sulle rive del Bosforo.

SMEMBRAMENTO ANNUNCIATO

Di sicuro c’è soltanto lo spezzatino delle attività. Il resto pare studiato apposta per tacitare dipendenti e sindacati, in attesa di fare il colpaccio definitivo. D’altronde, dopo l’acquisto nel 2013 del pacchetto azionario dalla famiglia Averna – che a sua volta l’aveva rilevato dall’ultimo dei Pernigotti nel ’95 – i turchi hanno dato prova quasi subito di non avere minimamente a cuore le sorti degli impianti italiani. Nel 2015 è stato chiuso il magazzino prodotti situato alle porte di Novi. La logistica è stata ceduta a un’impresa del Parmense e i 50 addetti messi  in mobilità. Ora tocca allo stabilimento principale, aperto da Stefano Pernigotti 160 anni fa.

Accettare lo smembramento delle attività, affidate a semplici terzisti, significa tagliare il cordone ombelicale con la storia e la tradizione produttiva del polo novese. Quando si chiuderanno definitivamente i cancelli dell’impianto di Vale della Rimembranza 100, a due passi dallo stadio comunale Costante Girardengo, sul’epopea imprenditoriale che ha portato la società ai vertici dell’industria cioccolatiera italiana ed europea calerà definitivamente il sipario. Il resto è solo fumo negli occhi.

PERCHÈ SPENDERE SOLDI?

Tre anni or sono, quando venne chiuso il polo logistico Pernigotti, i due fratelli Toksoz definirono lo stabilimento di produzione «un punto fermo». Intoccabile. Anzi: da rafforzare. È accaduto il contrario. Le produzioni svolte a Novi sono state impoverite e sugli impianti di Viale Rimembranza non è stato investito un nichelino .Così gli ultimi quattro bilanci, chiusi all’ombra della mezzaluna, sono stati tutti passivi. Il rosso ammonta a 40 milioni di euro.

D’altronde, perché spendere soldi in una struttura destinata alla chiusura? Visti gli ultimi sviluppi, tutto assume un senso. Perverso. Probabilmente era tutto già scritto in un piano steso magari con l’aiuto di consulenti diabolici ma abilissimi. Il finale di partita è scontato: portare tutte le produzioni Pernigotti a Istanbul. Vista la iper svalutazione della lira turca sull’euro, il basso livello di tassazione e il costo del lavoro bassissimo, c’è da risparmiare oltre il 50% sui costi di produzione. con la prospettiva di vendere in giro per il mondo coccolata e torroni, con un marchio storico del made in Italy, ma fatto a Istanbul a costi stracciati.

Il piano è talmente diabolico da prevedere pure alcuni ostaggi:i lavoratori mandati a lavorare dai terzisti. Sapendo che il loro posto è garantito da quel che resta delle produzioni di Pernigotti in Italia, chi avrebbe il coraggio di lanciare una campagna di boicottaggio? Già mi vedo il comunicato dei turchi: gli italiani fanno licenziare i loro lavoratori.

Ora nervi saldi. Ne avremo un gran bisogno per salvare davvero 100 posti di lavoro e una produzione storica del made in Italy alimentare.

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