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Ora si può distinguere fra pane fresco e decongelato. Ma occhio all’etichetta

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Finalmente si può distinguere fra pane fresco e pane scongelato. Dopo un’attesa di oltre dodici anni, con l’immancabile sequela di promesse mai mantenute da parte dei politici di turno, i ministeri dello Sviluppo Economico (Di Maio) e delle Politiche Agricole (Centinaio) hanno pubblicato il provvedimento destinato a fare un po’ di chiarezza. Sui banconi dei supermercati si può distinguere fra l’alimento fresco e quello decongelato. Il 19 dicembre 2018 – giorno in cui il decreto è entrato in vigore – è scattato pure il vincolo di porre in vendita i due tipi di pane in scaffali rigorosamente separati sui banconi del supermercato. Ma le buone notizie finiscono qui. Non aspettiamoci di sapere fino in fondo che tipo di pane porteremo a tavola.

72 ORE DI TEMPO

Il decreto interministeriale numero 131/2018, licenziato dai due ministeri il 1° ottobre 2018, mette sì fine alla confusione normativa che per anni ha consentito di spacciare per freschi filoni e michette ottenuti scongelando semilavorati importati soprattutto dai Paesi dell’Europa orientale e finendone la cottura da noi. Questo pane non si potrà più definire «fresco», a differenza di quello fatto «secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento o surgelazione – recita il decreto – ad eccezione del rallentamento del processo di lievitazione, privo di additivi conservanti e di altri trattamenti aventi effetto conservante». In pratica quello che esce dai forni tradizionali. Non devono trascorrere più 72 ore da quando inizia la lavorazione al momento in cui il prodotto fresco è messo in vendita.

METODO DI CONSERVAZIONE

Tutti i pani diversi da quello fresco dovranno essere «posti in vendita con una dicitura aggiuntiva che ne evidenzi il metodo di conservazione utilizzato», recita l’articolo 3. Così, oltre a non essere più definibili come prodotti «freschi» questi alimenti dovranno scrivere in maniera chiara sull’etichetta diciture tipo «pane sottoposto a processo di surgelazione», o più semplicemente «pane decongelato».

Conoscendo le industrie alimentari temo però che le diciture utilizzate siano assai meno chiare. Purtroppo le nuove norme non fissano le espressioni ammesse, lasciando così un buon margine di discrezionalità ai produttori che  prevedibilmente faranno di tutto per camuffare la natura del pane scongelato, o a «durabilità prolungata», come è scritto nel decreto.

In più c’è il timore che rispuntino le diciture escogitate in passato proprio per aggirare l’obbligo di specificare la freschezza (o meno) dell’alimento bianco. Slogan tipo «pane di oggi», «pane caldo» e anche «pane appena sfornato».

NIENTE TRACCIABILITÀ

Del tutto assente, invece, l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di provenienza del semilavorato. Nella migliore delle ipotesi i consumatori potranno scoprire che si tratta di un prodotto decongelato, contenente in svariata misura additivi e conservanti. Nulla, invece, potranno sapere sul Paese dov’è stato prodotto l’impasto precotto e congelato. Ma non mi meraviglio. Non si tratta di una dimenticanza dei tecnici che ai due ministeri coinvolti hanno scritto materialmente la norma.

CODICE DOGANALE UE

Le importazioni di semilavorati sottoposti a congelazione mettono in gioco purtroppo le norme relative al mercato unico europeo a cominciare dal Codice doganale comunitario, con le regole capziose sull’acquisizione dell’origine: un prodotto acquisisce l’origine del Paese in cui è avvenuta l’ultima lavorazione o trasformazione sostanziale. Dunque, a termini di legge (europea) il pane decongelato prodotto ad esempio in Romania e importato in Italia, potrebbe addirittura essere etichettato come «Made in Italy», venendo ultimata la cottura nel nostro Paese. E non mi meraviglierei di scoprire che la norma sulla provenienza del pane precotto sia stata fermata dalla Commissione europea. Pena la dichiarazione di nullità, capitata invece ai decreti sull’origine di latte a lunga conservazione, formaggi, pasta e riso, varati dal precedente governo.

Per ora accontentiamoci di verificare se le diciture utilizzate permettono davvero di distinguere fra l’alimento fresco e quello de congelato. Poi, se in primavera il vento in Europa dovesse davvero cambiare, si potrà ritornare a chiedere la tracciabilità.

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