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FATTI

Tutta l’Expo in 11 parole

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Per capire il senso dell’Expo bisogna vederlo e rivederlo. Guardare, provare, fare mille domande. Non voglio vendervi una merce che non posseggo ancora: all’esposizione universale di Milano ci sono stato alcuni giorni e inizio a capire qualcosa. In attesa di compilare una guida ragionata all’evento dell’anno, almeno per quelli come me che vivono di alimentazione, ecco un primo assaggio.

DISTANZE

palazzoitalia

Palazzo Italia visto dal Decumano

Tutto all’Expo avviene su una scala che si può misurare per lo meno sulle centinaia di metri, se non addirittura dei chilometri. Per chi dovesse entrare ad esempio dalla Porta Triulza, quella che si utilizza arrivando alla stazione di Rho Fiera con la Metro rossa o col passante ferroviario, arrivare al capo opposto del quartiere fiersitico significa fare una scarpinata di almeno mezzora. Procedendo però a passo spedito. Mai sbagliare meta: se scopri di aver confuso sulla cartina un padiglione per un altro, rischi di buttare tempo prezioso. Mercoledì ho perso mezz’ora per aver dimenticato di fotografare il padiglioncino Citterio, situato nel Cardo. L’importante è mettere scarpe comode e ampiamente collaudate. Per le donne sconsigliatissime le calzature con i tacchi.

ITINERARIO

Il segreto per vedere il più possibile, senza perdere tempo e neppure sfinirsi dal camminare è definire un itinerario preciso. Nell’arco di una giornata,si possono vedere dieci, al massimo quindici padiglioni, procedendo di buona lena. E a meno di non passare le ferie a Rho è consigliabile disegnare sulla piantina le tappe della visita. Per ora non mi sento ancora di raccomandarvi nulla. Il mio consiglio è dedicare un paio di serate – dalle 19 l’ingresso costa appena 5 euro – per dare un’occhiata in giro. Alla fine si compera comunque a scatola chiusa. Personalmente ho visitato padiglioni che erano stati giudicati pessimi da amici e colleghi ma che alla fine mi hanno trasmesso qualcosa. Fra quelli che ho visto finora mi sento di indicarne tre: Brasile, Cibus è Italia, Coldiretti. Code permettendo, anche Palazzo Italia, mentre lascerei fra gli ultimi la Gran Bretagna.

RISPOSTE

Trovo nel complesso piuttosto deludenti le rispose al tema centrale dell’esposizione: nutrire il pianeta. Oltre il solito mantra della sostenibilità ambientale e della lotta allo spreco, non c’è molto di nuovo. E devo ancora capire cosa possa cambiare ad esempio per un indigente che abiti in uno a caso tra i Paesi nella fascia del Sahel se riesco a risparmiare la pattumiera ai cibi che acquisto. Mi sarei aspettato una fuga nel futuro in grande stile, ad esempio su nuovi metodi di coltivazione nelle zone aride. O sul trasferimento delle buone pratiche agricole, a buon mercato, da chi le applica con successo a quanti non ci riescono.So che al tema stanno lavorando al Parco Tecnologico di Lodi. Appena capisco di cosa si tratta ve ne darò conto.

ITALIA

expovino

Padiglione del vino, una sala

In ogni padiglione che ho visitato finora ho trovato qualcosa di interessante. Anche quando mi ha deluso, sono riuscito a cogliere comunque informazioni utili. Col Padiglione Italia no. Le aree espositive che si affacciano sul Cardo, il viale che taglia verticalmente l’esposizione da nord a sud, sono quasi interamente dedicate a marchi, organizzazioni e imprese made in Italy. Se si eccettua l’area posta all’apice orientale e destinata all’Unione europea, il resto avrebbe dovuto ospitare una sintesi della tavola tricolore. Casa Italia. Così non è: tranne Palazzo Italia e il padiglioncino Coldiretti, il resto è desolante: spacci aziendali camuffati da museo del cibo (Citterio e Granarolo), strutture non finite e altre inesistenti (Confindustria), bar, tavole calde, gelaterie, birrerie. Manca un’agenzia immobiliare e un centro benessere gestito dai soliti cinesi e il Cardo sarebbe la fotocopia di una via periferica di Milano. La peggiore delusione di tutta l’Expo. Dopo l’organizzazione, s’intende. Anche l’edificio del vino è in parte deludente: godibile la mostra situata al piano terra, trovo agghiacciante l’allestimento del primo piano, in stile 2001 Odissea nello spazio. La maniera «cantina» era probabilmente troppo scontata. Ma così è peggio.

PREZZI

Ce ne sono per tutti i gusti. L’importante è guardare bene i listini. Al padiglione della Spagna, ad esempio, propongono la pata negra, il caratteristico prosciutto iberico, a 40 euro l’etto. E mangiando ai ristoranti giapponesi è facile superare i 100 euro a coperto. Fortunatamente nelle tavole calde e nei fast food che costellano l’esposizione ci si può saziare a cifre accettabili. Nei padiglioni i prezzi salgono. Ma credo si possa accettare. Devo ancora verificare, invece, il livello dei prezzi dei ristoranti stellati.

DIGITALE (ma non troppo)

Expo_App_835_ITAGli effetti speciali più apprezzati all’esposizione universale, più che digitali sono elettronici (come quelli che governano l’Albero della vita). Che non sia aria per la tecnologia 2.0 si capisce subito dopo aver installato la app ufficiale di Expo, sviluppata da Accenture Italia. Dovrebbe fra l’altro sostituire la mappa cartacea. Non è così, visto che non è prevista la ricerca libera. Non c’è un campo «cerca» come per altro esiste da sempre perfino nella versione mobile dei blog più spartani. Vuoi visitare il padiglione Coca Cola? Devi cercarlo fra un menù degli espositori che è tutto fuorché razionale. Dalla voce «Esplora» si accede all’elenco dei soggetti presenti. Bisogna scorrerlo tutto e andare per tentativi. Sarà sotto la voce «Corporate»? No. La trovi sotto «Partner, non alla lettera C ma alla P: Padiglione Coca Cola! Un capolavoro di logica. Non c’è che dire.

METAFORE

In molti casi la scelta degli espositori è stata di giocare sulle metafore, per evitare la trappola di un racconto troppo didascalico. Purtroppo in molti casi il senso sfugge. E non c’è altro da fare se non chiedere spiegazioni allo staff del padiglione. Troppo stringate e prive di immagini  le descrizioni che fornisce la app ufficiale: ancora una volta si è persa un’occasione d’oro per utilizzare in maniera intelligente le tecnologie digitali. In alcuni padiglioni funzionano delle app locali, con risultati quasi mai all’altezza delle aspettative. C’è ancora tempo per rimediare. Basta volerlo.

ASSAGGI

Fotolia_24840293_XSDopo i primi due giorni di apertura sono spariti gli assaggi. Non so dirvi se fosse previsto, anche se ricordo bene che nel corso di una delle numerose conferenze stampa di presentazione dell’evento il tema era fra quelli più dibattuti. Inutile fare i finti tonti. Se soltanto ciascuno degli 11 milioni di visitatori paganti che hanno acquistato il biglietto prima ancora dell’apertura, dovesse mangiare cibo gratis per un euro, uno solo, il conto sarebbe stratosferico. E insostenibile. Una soluzione ragionevole è quella adottata al padiglione del vino italiano: tre bicchieri (non colmi, naturalmente) 10 euro. Certo, per i Paesi più lontani ci sarebbe il problema degli approvvigionamenti di materie prime irreperibili qui da noi. Ma l’opportunità di far conoscere ai visitatori le specialità locali di mezzo mondo varrebbe lo sforzo. Inutile nascondersi che così i ristoranti potrebbero lavorare un po’ meno. E il business è business. Fra i pochi partecipanti che tuttora offrono degustazioni a fia’ d’oca (gratis in milanese), sono rimasti i russi e Coldiretti.

DIVERTIMENTO

Se non ci si aspetta la risposta a tutti i perché del mondo sull’alimentazione l’Expo è il posto più interessante da visitare a proposito di cibo da qui a ottobre. Un grande parco tematico, capace di offrire infiniti stimoli ai visitatori di ogni età e di tutte le estrazioni sociali. Col passare dei giorni si nota pure una sicurezza crescente negli staff dei Paesi partecipanti e l’accoglienza è decisamente migliorata. A conti fatti una giornata trascorsa all’esposizione universale, anche togliendosi qualche sfizio a tavola, non costa più di una domenica passata a Gardaland. Con una sola avvertenza: occhio ai listini dei ristoranti stellati e a quelli dei padiglioni stranieri, non sempre in evidenza.

SICUREZZA

Fotolia_52367572_XSControlli a pettine ai varchi d’ingresso con tanto di metal detector come in aeroporto. Il quartiere fieristico di Rho è con ogni probabilità il posto più sicuro dopo Palazzo Chigi e il Quirinale. Col senno del poi erano del tutto fuori luogo le polemiche alimentate alla vigilia dai soliti specialisti della grana ad ogni costo. Ogni cento metri c’è una pattuglia di Polizia, Carabinieri o Guardia di Finanza. Più un numero imprecisato di agenti in borghese. All’interno di alcuni padiglioni, poi, a un’attenta osservazione si possono individuare incaricati della sicurezza a cui non sfugge nulla. Neppure Fort Knox, dove sono custodite le riserve auree americane, è impenetrabile. Ma all’Expo gli apparati di sicurezza stanno facendo tutto il possibile.

TRAFFICO

Da pendolare che entra a Milano ogni mattina e ne esce la sera, ero preoccupato di rimanere bloccato da ingorghi epocali. Per ora nulla di tutto questo. Ho notato, questo sì, un aumento del traffico sulla tangenziale ovest. Per ora sopportabile. Ogni weekend però è una prova del fuoco. Alla fine ho deciso di utilizzare la metropolitana rossa per raggiungere il quartiere espositivo. Da Porta Venezia a Rho Fiera sono 19 fermate, una mezz’ora buona. Ma la frequenza dei convogli è molto alta e non sono mai in ritardo né troppo affollati. Onore all’Atm, l’azienda dei trasporti municipali di Milano, che si è preparata per tempo e ha predisposto un ottimo piano per l’Expo.

Per ora mi fermo qui.  Il prossimo obiettivo è quello di pubblicare delle recensioni sintetiche dei padiglioni, a blocchi di cinque, che andranno a comporre la mia personalissima classifica.

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Le Terme di Salice a Massimo Caputi

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Massimo_caputi_Terme_di_Salice

Massimo Caputi, classe 1952, ingegnere civile, è il nuovo proprietario delle Terme di Salice, che ha rilevato all’asta martedì 13 luglio presentando un’offerta di un milione e 570mila euro. Si chiude così la vicenda del crac da 10 milioni di euro che portò alla dichiarazione di fallimento dello storico stabilimento termale da parte del Tribunale di Pavia tre anni or sono.
Pochi giorni fa Caputi si è aggiudicato il Nuovo Hotel Terme per una cifra di poco superiore ai 900mila euro.

Ma chi è il nuovo padrone delle Terme di Salice? Dire che possiede quelle di Saturnia – vera e propria meraviglia del benessere – e che recentemente ha rilevato dal Montepaschi il 47% di quelle di Chianciano è riduttivo. Senza dubbio Caputi, abruzzese di Chieti, ha competenza e capacità in abbondanza per rilanciare in chiave moderna il termalismo, dato per morto frettolosamente, assieme ai vecchi frequentatori degli stabilimenti termali. Quelli che li affollavano fino agli anni Ottanta, sottoponendosi a inalazioni, humages, nebulizzazioni e fanghi. Già, perché Caputi è un capitano di lungo corso dell’imprenditoria italiana. Negli ultimi trent’anni è transitato in molte delle aziende assurte a vario titolo agli onori delle cronache. Economiche e non solo.

DALLE STAZIONI ALLE BANCHE

Amministratore delegato di Grandi Stazioni, gruppo Ferrovie dello Stato, dal 1996 al 2002, dall’aprile dell’anno successivo al maggio 2006 è consigliere d’amministrazione della Banca Montepaschi di Siena. Nel frattempo – precisamente nel febbraio 2002 – assume la carica di amministratore delegato di Sviluppo Italia (ora Invitalia). Carica che mantiene fino all’ottobre 2005.

Massimo Caputi

Massimo Caputi, classe 1952, abruzzese di Chieti, è uno dei protagonisti indiscussi della finanza immobiliare italiana

Nel dicembre 2008 viene nominato vicepresidente del consiglio di amministrazione di Banca Antonveneta, entrata a far parte, proprio quell’anno, del gruppo Montepaschi, prima di essere incorporata dall’istituto senese cinque anni più tardi.
Dal maggio 2013 all’ottobre 2015 è vicepresidente esecutivo della Prelios, la ex Pirelli Real Estate. La salva da una fine ingloriosa, facendone una società modello.

IL SALVATAGGIO DELLA FIMIT

Consigliere di amministrazione della Luiss (2004-2007) e della Marzotto (2006-2007), qualche anno prima, per la precisione nell’agosto 2000 Caputi arriva alla Fimit, società di gestione del risparmio del Mediocredito Centrale e la salva dal disastro, raddrizzandone le attività e i conti. Vi resta fino al 2007 per poi rientrarvi l’anno successivo e guidarla fino al 2011. Nel 2001, da ceo di Fimit, lancia il Fondo Alpha, primo fondo immobiliare quotato in Borsa.

Dal 2017 Caputi è presidente delle Terme di Saturnia, acquisite da Feidos, società di specialisti di cui è il maggiore azionista, assieme al fondo speculativo americano York Capital. A febbraio 2021 rileva il pacchetto di maggioranza delle Terme di Chianciano, dove sta mettendo mano al portafoglio per un rilancio indispensabile.

IL POLO DEL BENESSERE

Ora Salice Terme. Con l’acquisto del Nuovo Hotel e dello storico stabilimento termale Caputi – che è anche presidente di Federterme – ha messo assieme i tasselli di quello che potrebbe presto diventare il principale polo del benessere d’Italia. Archiviato il vecchio termalismo sociale, basato sulle convenzioni con enti pubblici come Poste e Ferrovie – che garantivano centinaia di migliaia di clienti l’anno alle terme di tutta Italia, grazie alla diaria che copriva buona parte dei costi di soggiorno – i nuovi modelli di business per le attività termali devono mettere in gioco funzioni diverse da quella puramente curativa. La sfida per il rilancio delle Terme di Salice da parte di Caputi – conosciuto come uno dei maggiori protagonisti della finanza immobiliare italiana –  non può che partire da qui.

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FATTI

La doppia fregatura degli insetti a tavola

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Foto in primo piano di Simon da Pixabay

Gli insetti rischiano di togliere spazio ai campioni del made in Italy a tavola. E costano cari come il fuoco.

La Commissione europea ha dato il via libera alla commercializzazione delle larve essiccate di tenebrione mugnaio, la tarma della farina.  Il comitato sulle piante, animali, cibo e mangimi, composto da rappresentanti degli Stati membri e della Commissione, ha annunciato il disco verde  all’atto giuridico che autorizza l’immissione sul mercato delle larve di Tenebrio molitor – questo il nome scientifico – per l’alimentazione umana. In realtà si trovano in commercio da alcuni anni, assieme a grilli, scorpioni e perfino tarantole e sono facilmente acquistabili sul web. Ora rischiamo di trovarli perfino sui banconi del supermercato.

In realtà manca ancora l’ultimo passaggio. La Commissione Ue deve emanare un atto attuativo, in pratica un decreto, che ne disciplini allevamento, lavorazione, confezionamento e vendita. Ma è questione di poco tempo anche se per l’Europa la carica degli insetti commestibili  parte da lontano, precisamente dal 1997, quando Bruxelles approvò il regolamento 258 sui novel food.

La nuova norma Ue abrogherà pure la circolare emanata nel 2018 dall’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin che bloccò la commercializzazione degli esapodi in Italia, proprio in attesa di specifiche norme europee (qui il link all’articolo).

L’EQUIVOCO DELLA FAO

Secondo la Fao, come ricorda la Commissione, l’uso degli insetti come alimento per l’uomo «è particolarmente rilevante nel XXI secolo» a causa del «costo crescente delle proteine animali, dell’insicurezza alimentare, della crescita demografica e della crescente domanda di proteine da parte delle classi medie». Tutti argomenti condivisibili sulla carta, ma che in realtà nascondono equivoci ed errori di valutazione. Intanto il costo delle proteine animali non è aumentato ma è sceso negli ultimi 50 anni. Inoltre quasi tutti i Paesi europei, per lo meno i maggiori, sono alle prese con problemi di denatalità. E gli esperti prevedono per il 2021 un vero crollo demografico in quasi tutta Europa. Dunque i motivi secondo i quali per la Fao è giusto mangiare gli insetti da non non sussistono.

Larve di tenebrione

Eppure per la Commissione europea bisogna trovare «soluzioni alternative all’allevamento convenzionale», perché «il consumo di insetti contribuisce positivamente all’ambiente e alla salute» e «agevola il passaggio a diete salutari e sostenibili». Una posizione che non capisco. Nei Paesi dove vermi e cavallette costituiscono da sempre una fonte di cibo, forse sarà anche così. Da noi fatico a immaginare come l’allevamento di tenebrioni possa cambiare la sorte della nostra salute. Eppure in Horizon Europe, il programma per la ricerca destinato a durare fino al 2027, «le proteine basate sugli insetti sono considerate una delle aree chiave di ricerca».

Argomenti, quelli della Ue che non condivido. Mi guardo bene dal portare sulla mia tavola una larva di tenebrione, fresca o essiccata che sia. Intanto perché mi fa ribrezzo. E poi perché la cultura alimentare è anche frutto di scelte politiche. La nostra dieta è quella che ha fatto di noi uno dei popoli più longevi del pianeta. È fatta di tradizioni millenarie che vanno difese e preservate.

IL BORSINO DEGLI ESAPODI

Senza contare che quando arrivano sulle nostre tavole gli insetti costano cari come il fuoco. Fra le tante varietà, i tenebrioni sono quelli che si pagano meno, ma nella migliore delle ipotesi costano 50 euro al chilogrammo. Volendo invece assaggiare dei grilli si può acquistare una busta da 15 grammi di ortotteri cotti e disidratati, ma bisogna spendere 5 euro. Che al chilogrammo fanno oltre 333 euro. Non parliamo delle rarità. Per una tarantola al forno, venduta in scatola, si pagano 7 euro (466 al chilo), mentre due scorpioni neri d’allevamento (3 grammi l’uno) vengono 7,10 euro. Per un chilo di scorpioni ci vogliono 1.183,33 euro. Poco meno del caviale.

Chi volesse «risparmiare» – si fa per dire –  può buttarsi sulla farina di baco da seta che costa «appena» 195 euro al chilogrammo.

  • quanto-costano-gli-insetti-a-tavola
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Foto in primo piano di Simon da Pixabay
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Il boicottaggio dei prodotti tedeschi? Una sciocchezza

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Gira vorticosamente su Whatsapp una catena che invita a boicottare i prodotti tedeschi. Il messaggio è scritto maluccio e i contiene parecchie imprecisioni al punto che, prendendo alla lettera le esortazioni dell’autore si rischia di danneggiare anche aziende localizzate in Italia e prodotti che escono dagli impianti situati nel Belpaese dove lavora personale italianissimo.

Ecco il messaggio. Lascio di proposito gli errori di sintassi.

FONDAMENTALE FACCIAMO IL KULO ALLA CULONA MERKEL e ai Crucchi
Considerato che la guerra è ECONOMICA , e Tedeschi e Austriaci non hanno intenzione, di aiutare coi soldi di tutti e cioè con Eurobond, i paesi più colpiti dell’area Euro come SPAGNA FRANCIA, ITALIA ecc. Soldi che servirebbero a curare malati, a comprare farmaci, a pagare medici, infermieri, sussidi , cassa integrazione, contributi ad aziende e lavoratori, ed attività commerciali oggi chiuse , e ogni misura di sostegno all’economia del nostro paese.
Visto che andiamo tutti a far la spesa, VI IMPLORIAMO di far crollare il fatturato delle aziende tedesche e austriache, i vantaggi saranno enormi. Il primo è per l’occupazione italiana, in secondoluogo le aziende italiane pagano tasse in Italia, molte multinazionali delocalizzano e non producono nulla in Italia, ma inviano solo i loro prodotti al nostro mercato, cioè non producono posti di lavoro in Italia.
Altre tramite un gioco complicato ma legale, pagano poche tasse, avendo sede ad Amsterdam o Paesi Bassi. Se le aziende tedesche che hanno dipendenti qui in Italia crollano, altre aziende italiane o di altri paesi assumeranno personale in Italia, quindi tranquilli. La Germania ha avuto un SURPLUS commerciale da quando è entrata in Europa, vantaggio riconosciuto da tutti gli economisti del mondo. Questo anche perchè la gran parte dei nostri politici son tutti senza palle. I vantaggi per le aziende NON GERMANICHE sarebbero enormi, Vi chiediamo di inoltrarlo a 20 persone, di cui 2 almeno fuori dalla vostra città, se ognuno di voi ci riesce in 5 minuti siamo a 400, in un ora a 8.000 persone circa, in un giorno raggiungiamo 192.000 contatti, quindi i numeri si fanno importanti. Massacriamo la Germania, senza missili, senza armi, ma con l’arma che è caratteristica di noi italiani e cioè l’intelligenza. vedi MEUCCI (inventore telefono), E.FERMI, Cristoforo Colombo, Leonardo da Vinci
BOICOTTIAMO TUTTI I PRODOTTI ELENCATI:
COLOSSI GRANDE DISTRIBUZIONE tedeschi:
ALDI SUPERMERCATI, LIDL, PENNY Market e DESPAR
Prodotti: BALSEN biscotti, YOGURT MULLER, KNORR SUGHI, HARIBO caramelle, Birra Paulaner, Edelweiss, Goldenbrau, Gosser (BAVARIA e Heineken olandesi) Red bull bevanda austriaca, Henkel group tedesca che detiene: DIXAN, BIO PRESTO, Perlana, VERNEL, PERSIL, Pril per lavastoviglie, Nielsen sapone piatti. GLISS per capelli, antica Erboristeria che è tutto meno che italiana, Breff detergenti prodotti cas,a VAPE antizanzare, HERTZ autonoleggio Ravensburger giocattoli, colla LOCTITE e Pritt, Schwarkopf shampoo e Neutromed saponi, Continental pneumatici, ROWENTA E VORKERK elettrodomestici, Marchio Bosch e Aeg Cucine Materiale per bagno edilizia Duravit, Grohe e Knauf, Villeroy & Bosch Wurth viti Junkers e Vaillant caldaie, Telefunken televisori, Osram e SIEMENS, colossi illuminazione, PUMA e ADIDAS, ESCADA e MONTBLANC, REUSCH e ULHSPORT abbigliamento sport e neve. LANGE & SONHE orologi, KTM moto Swaroski gioielli, SCI ATOMIC e il marchio HEAD Deustche bank -chi tiene i soldi lì ricordiamo che la banca ha varato 20.00 licenziamenti in tutto il mondo, in quanto attraversa una grave crisi di liquidità. Decisamente più sicuro tenere risparmi nelle grosse banche italiane.
Sui farmaci , si parla di salute e quindi siamo persone perbene e non ci permettiamo di toccare la Bayer ma se comprate un’aspirina in meno è meglio, per tutti..
DIFENDETE I LAVORATORI E LE AZIENDE DEL VOSTRO PAESE
Non ci rivolgiamo a tutti ma solo AGLI ITALIANI CHE VOGLIONO DIFENDERE IL PROPRIO PAESE, OGGI COME NON MAI
Buona Spesa a tutti E Forza Italia SEMPRE

In realtà non tutti i marchi elencati sono tedeschi e più che danneggiare i crucchi si rischia di fare dei danni seri alla nostra economia. Parto dall’inizio e ne cito soltanto alcuni perché se facessi l’elenco delle attività presenti da noi sarebbe lunghissimo.

Despar è un’insegna della grande distribuzione olandese e non tedesca, proprietarie della cooperativa Spar, con sede ad Amsterdam. Nel nostro Paese ha stipulato accordi di licenza con società italiane. Smettendo di acquistare nella rete Despar si buttano su una strada migliaia di nostri connazionali che lavorano nei punti vendita localizzati nella Penisola.

La birra Heineken è olandese ma quella che troviamo sugli scaffali dei nostri supermercati è interamente prodotta in Italia dove la multinazionale di Amsterdam ha ben quattro birrifici in cui lavorano quasi 2mila persone: Comun Nuovo (Bergamo), Assemini (Cagliari), Massafra (Taranto), Pollein (Aosta). Ma c’è di più. Heineken possiede alcuni fra i nostri maggiori marchi birrari: Moretti, Baffo d’Oro, Sans Souci, Dreher, Ichnusa, Messina, Von Wunster, Prinz e Cervisia. Tutti prodotti confezionati nello stivale. Come la mettiamo con queste etichette?

Henkel è in effetti tedesca, di Dusseldorf, e sforna prodotti per la pulizia della casa, per l’igiene personale, oltre ai collanti Loctite, Pritt, Super Attak e Pattex ma è attiva nel da noi con 5 stabilimenti da cui escono, fra l’altro, Dixan, Bio Presto, Perlana, Nelsen (non Nielsen come scritto nel messaggio) e Vernel. Nel 2016 i lavoratori italiani del gruppo tedesco erano 1.100.

Altro svarione grossolano riguarda i televisori a marchio Telefunken che dal 2006 sono prodotti su licenza dalla turca Profilo Telra Elektronik e distribuiti da noi da un’altra società turca, la Vestel. In questo caso la Germania e i tedeschi non c’entrano nulla

Fra l’altro non si capisce perché dalla lista nera siano esclusi i marchi dell’industria automobilistica tedesca: Mercedes, Volkswagen, Audi e Opel. Forse perché l’autore della campagna di boicottaggio gira su una vettura di queste marche? Chissà…

In ogni caso, prima di lanciare questi tormentoni, bisognerebbe chiedersi quali possano essere i danni prodotti. Ed è puerile ritenere che «se le aziende tedesche che hanno dipendenti qui in Italia crollano, altre aziende italiane o di altri paesi assumeranno personale in Italia», come scrive l’anonimo autore del messaggio. Se chiudono gli impianti localizzati nel nostro Paese se ne vanno a casa migliaia di lavoratori. Punto.

Fra l’altro chi ha lanciato il boicottaggio ignora del tutto che Germania e Olanda sono fra i maggiori esportatori nella Penisola di materie prime alimentari che la nostra industria di trasformazione lavora e vende con marchi italianissimi.

Forse, anziché lanciare anatemi sarebbe meglio invitare i nostri consumatori a cercare i prodotti 100% Italia. È più facile, si è sicuri di privilegiare il lavoro e la creazione di ricchezza sul suolo nazionale e non si rischiano gravi danni collaterali. Ma visto il livello palesato dall’autore del messaggio, questo meccanismo gli sfugge sicuramente.

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