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ETICHETTE

Origine obbligatoria per latte e formaggi. Ecco come saranno le etichette

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Alcuni esempi di etichettatura

Finalmente arriva l’etichetta d’origine obbligatoria per latte a lunga conservazione, burro, yogurt e formaggi. Il decreto licenziato dal governo il 9 dicembre 2016 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Qui il link al testo originale. Del provvedimento  sono girate parecchie versioni. Tutte parziali e tutte contenenti diverse imprecisioni sulle quali, bisogna ammetterlo, ci siamo accapigliati inutilmente. Colpa anche del Ministero delle politiche agricole che non ha diffuso a suo tempo lo schema di decreto ufficiale.

A questo punto vediamo in breve le novità principali.

SILENZIO ASSENSO

Innanzitutto non c’è stato un vero e proprio via libera formale della Commissione europea, cui spetta l’ultima parola sulle disposizioni che regolano l’etichettatura dei prodotti alimentari. Il governo italiano ha fatto valere il principio del silenzio-assenso. E il nuovo regime di etichettatura entra in vigore, come si legge nella lunga premessa, «decorso il termine  di  tre  mesi  dalla notifica effettuata, senza  aver  ricevuto  un  parere  negativo  dalla  Commissione europea». Va bene anche così, ma Bruxelles non ha dato il disco verde. Forse perché un atto ufficiale avrebbe provocato la reazione della solita Germania che ci inonda col suo latte bavarese e ha tutto l’interesse che le etichette restino opache.

IN VIA SPERIMENTALE

Il decreto si applica «in  via sperimentale fino al 31 marzo 2019. Il Ministero delle politiche agricole e il Ministero dello sviluppo economico trasmetteranno alla  Commissione europea entro il 31 dicembre 2018 un rapporto sull’applicazione delle disposizioni» in esso contenute. Resta da capire cosa possa accadere a quel punto.

TEMPI DELL’ENTRATA A REGIME

Il decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 19 gennaio 2017 ed entrerà in vigore 90 giorni dopo quella data. Quindi il 19 aprile. Ma non è detto che a quella data le etichette di latte e formaggi siano tutte trasparenti sull’origine della materia prima. È previsto infatti un periodo transitorio di sei mesi nel corso del quale si potranno commercializzare i prodotti già etichettati con le vecchie regole. Quindi non allarmatevi se vi imbattete in una confezione di latte a lunga conservazione o in un formaggio fresco privi di ogni indicazione sulla provenienza. Saranno tollerati fino alla metà di ottobre.

STRANIERI ESCLUSI

L’obbligo di indicare l’origine della materia prima vale soltanto per i nostri produttori. Né potrebbe essere diversamente: una legge italiana non può avere effetto in Germania, Francia o Polonia. Dunque un formaggio o uno yogurt fatto all’estero e venduto in Italia può non riportare praticamente nulla in etichetta. Siccome non è escluso che gli stranieri si servano di nomi e loghi italianeggianti, massima attenzione a quel che compare ma anche a quel che manca. Se il prodotto è reticente, di sicuro utilizza materie prime non italiane.

PRODOTTI INTERESSATI

La norma vale per un lungo elenco di prodotti. Se si esclude il latte fresco per il quale già vige il vincolo di trasparenza, assieme a Dop e Igp, legate per disciplinare a una zona d’origine, il decreto riguarda:

  • latte e crema di latte, tal quali oppure concentrate o con aggiunta di zucchero
  • latticello, crema coagulata, kefir, yogurt, creme fermentate o acidificate
  • siero di latte e cagliate, sia tal quali sia con l’aggiunta di zucchero o altri edulcoranti
  • burro
  • creme spalmabili a base di latte
  • formaggi e latticini
  • latte sterilizzato a lunga conservazione
  • latte Uht a lunga conservazione

A scanso di equivoci, il decreto chiarisce che «per latte si  intende  sia  quello  vaccino,  che  quello bufalino, ovi-caprino, d’asina e di altra origine animale». Dunque semmai dovesse girare il latte di mammuth, pure quello, se lavorato in Italia, rientrerebbe nel campo di applicazione delle nuove regole.

IL CUORE DEL DECRETO

E ora veniamo al cuore del nuovo sistema di etichettatura. In pratica cosa troveremo scritto sulle confezioni. Per l’alimento bianco a lunga conservazione venduto tal quale è obbligatorio indicare:

  • il Paese di mungitura
  • il Paese di condizionamento (ad esempio: sterilizzazione)

Per yogurt, formaggi e creme varie:

  • il Paese di mungitura del latte
  • il Paese di trasformazione

Ho provato a immaginare cosa potremo trovarci di fronte nei prossimi mesi, simulando due etichette di latte e due di un formaggio fresco. Temo che rispetto ai miei, i caratteri utilizzati per la dichiarazione d’origine nella realtà siano molto più piccoli. Ma quello che vedete dovrebbe essere l’effetto finale.

L’IMPORTANTE È LEGGERE

Pur con tutte le limitazioni di cui ho detto, siamo di fronte a un cambiamento fondamentale per le nostre abitudini di consumo. Ma dobbiamo abituarci a leggere con maggiore attenzione quel che si trova scritto sulle confezioni. Mai fermarsi alla marca: brand italiano non significa assolutamente che il prodotto sia italiano. Vedrete quante sorprese ci riserveranno le etichette dei formaggi più diffusi! Per quel che mi riguarda mi impegno a darvi una mano. Non appena il volume di latte, yogurt e formaggi etichettati secondo la nuova norma sarà sufficiente, farò un censimento dei brand in cima alle classifiche di acquisto, classificandoli secondo l’origine della materia prima.

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Sentenza Ue: il gallo del Chianti non si può imitare

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bottiglie di Chianti Classico

Il gallo del Chianti è salvo. La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha deciso con una sentenza storica che il simbolo del vino più noto d’Italia non può essere utilizzato sull’etichetta di altre bottiglie dal momento che rappresenta un «carattere distintivo intrinseco del marchio Chianti». Confermato il parere dell’Ufficio Ue per la proprietà intellettuale (Euipo) che aveva negato la registrazione del simbolo del gallo alla Berebene Srl.

logo gallo Berebene

Il gallo Berebene

Ad opporsi alla richiesta di registrazione avanzata dalla Berebene era stato il Consorzio di tutela del Chianti Classico ottenendo  una pronuncia favorevole da parte dell’Euipo. Ma la Berebene aveva presentato ricorso alla Corte di giustizia Ue. Ieri il verdetto.

Durissime le motivazioni della sentenza (qui il link). I giudici di Strasburgo sottolineano l’esigenza «al di là del grado di somiglianza tra i due segni, di evitare fenomeni di parassitismo commerciale. Infatti, vista l’elevata notorietà e il carattere distintivo intrinseco del marchio Chianti, il fatto di utilizzare un segno avente una certa somiglianza con esso proprio per dei vini presenta un rischio concreto che il pubblico di riferimento associ l’immagine del gallo del marchio della Berebene ai vini Chianti». E in effetti i due simboli, a parte il soggetto, si assomigliano poco. Ma la Corte Ue ha stabilito che nei consumatori si logo Chianti Classicosarebbe potuta ingenerare lo stesso confusione.

Una decisione che ribalta di fatto alcune sentenze dannose per il made in Italy a tavola. Come quella che autorizzava un’azienda agricola belga a mettere in vendita pomodori “San Marzano”, con una evocazione clamorosa ai danni della Dop Pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese Nocerino.

Vale la pena di segnalare che la Berebene Srl ha sede a Roma e francamente fa specie che una società italiana pensi di poter registrare un marchio contenente il simbolo di un vino di grande tradizione come il Chianti. I nostri prodotti – proprio a cominciare dai vini –  sono già oggetto di falsificazioni in tutto il mondo da parte di taroccatori fin troppo agguerriti. Quando le imitazioni arrivano da casa nostra sono ancora meno scusabili.

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Scoppia la guerra del pomodoro pelato

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pomodoro pelato

Puglia contro Campania: scoppia la guerra del pomodoro pelato. Dopo lo scontro sulla Mozzarella di Gioia del Colle Dop le due regioni arrivano nuovamente ai ferri corti. Questa volta per la solanacea rossa lavorata e inscatolata. A scatenare lo scontro è stata la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il 13 marzo 2021,  della richiesta di riconoscimento del Pomodoro pelato di Napoli Igp. La pratica ha già avuto il via libera dal nostro Ministero delle Politiche agricole. Ora manca soltanto l’imprimatur della Ue. Ma si tratta, a questo punto, di un passaggio formale.

Donato Pentassuglia pomodoro pelato

Donato Pentassuglia

Ai produttori pugliesi, però, non sta bene. L’assessore pugliese all’Agricoltura Donato Pentassuglia ha annunciato che la Regione si opporrà al riconoscimento. «Ci sono sessanta giorni di tempo per farlo e abbiamo quasi istruito il fascicolo», ha puntualizzato. Il motivo? Secondo i pugliesi il 90% della produzione di pelato si concentra nella provincia di Foggia. Dunque, a rigor di logica, l’Indicazione geografica protetta spetterebbe al pomodoro foggiano. Una diatriba che si trascina da almeno quattro anni ed è esplosa quando il testo con il placet del ministero è finito sulla Gazzetta Ufficiale. Ma siamo soltanto all’inizio.

IN CAMPO L’ASSOCIAZIONE CONSERVE VEGETALI

Antonio Ferraioli

Antonio Ferraioli

Sulla questione è intervenuto anche Antonio Ferraioli, presidente dell’ Anicav (Associazione nazionale industriali conserve vegetali), nata a Napoli nel 1945. «Riteniamo sia giusto fare chiarezza», ha fatto  sapere in una nota, «perché l’Indicazione geografica protetta, come si evince molto chiaramente dal disciplinare di produzione, non riguarda assolutamente la materia prima ma il prodotto trasformato, appunto il pomodoro “pelato”. Per questo motivo non si fa alcun riferimento alla provenienza del pomodoro fresco, che tutti sanno venire per la maggior parte dalla Puglia». Fra l’altro l’Igp non lega indissolubilmente l’alimento alla zona di produzione della materia prima, come accade ad esempio per Bresaola della Valtellina e Speck dell’Alto Adige che possono essere fatti a partire da carne proveniente dai cinque continenti.

Per le Dop (Denominazioni d’origine protette) devono sussistere  tre condizioni irrinunciabili:  origine del prodotto, ricetta tradizionale e luogo di trasformazione in una zona ben definita. Per le Igp bastano due di queste tre condizioni. E nel caso del Pomodoro pelato di Napoli Igp le due condizioni sono la ricetta tradizionale e il luogo di trasformazione.

TRASFORMAZIONE E MATERIE PRIME

Semmai si potrebbe discutere sul fatto che il Pomodoro pelato di Napoli Igp, da disciplinare  (qui il link), si possa produrre non soltanto nel Napoletano, ma nel «territorio amministrativo delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise e Puglia». Così, l’impianto di lavorazione e confezionamento potrebbe trovarsi, addirittura, in provincia di Teramo, pur sfornando il Pelato di Napoli. Ma non si tratterebbe  del primo e nemmeno dell’unico caso.

Il Prosciutto di Parma Dop, ad esempio, prevede che la zona tipica di produzione «comprenda il territorio della provincia di Parma posto a sud della via Emilia a distanza da questa non inferiore a cinque chilometri, fino ad una altitudine non superiore a 900 metri, delimitato ad est dal corso del fiume Enza e ad ovest dal corso del torrente Stirone». Dunque il vincolo dei salumifici al territorio è molto stringente. Ma il Parma Dop si può fare a partire da cosce di suini nati, allevati e macellati in Italia, provenienti però da 10 regioni italiane: Emilia- Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio (qui il link).

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Com’è difficile capire cosa siano le Dop e le Igp

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Dop e Igp sono le sigle che individuano i prodotti alimentari legati ai territori e alle tradizioni che questi luoghi esprimono. Un cibo a Denominazione d’origine protetta, Dop in sigla, deve rispettare tre caratteristiche:

  1. essere fatto sulla base di una ricetta tradizionale comprovata, consolidata nel tempo e strettamente legata ai luoghi in cui viene prodotto;
  2. utilizzare soltanto materie prime italiane provenienti dalle zone rigorosamente fissate dal disciplinare di produzione (spiego fra poco cosa sia il disciplinare):
  3. il luogo di produzione o trasformazione si trovi in Italia, in una zona fissata sempre dal disciplinare, solitamente uno o più comuni limitrofi

Gli alimenti a Indicazione geografica protetta, invece, devono rispettare due di queste tre condizioni. E se si eccettuano le Igp vegetali – ad esempio il Cappero di Pantelleria o la Cipolla Rossa di Tropea – di solito le due caratteristiche rispettate sono:

  1. ricetta tradizionale comprovata;
  2. luogo di produzione o trasformazione in Italia (ma non potrebbe essere diversamente).

La materia prima utilizzata nelle Igp, invece, non è necessariamente italiana e può arrivare da ogni parte del mondo., come avviene per esempio per la Bresaola della Valtellina Igp, lo Speck dell’Alto Adige Igp e la Mortadella di Bologna Igp.

Poi esistono pure le Stg (Specialità tradizionali garantite) che sono delle Igp ancora meno legate al territorio e devono in sostanza rispettare la ricetta. In tutto sono tre: mozzarella, pizza napoletana e amatriciana tradizionale.

Ecco, comunque, i tre bollini che identificano quelle che nel gergo tecnico si definiscono «indicazioni geografiche».

bollini Dop Igp Stg

Ecco i bollini di Dop, Igp ed Stg

Per semplificare, dunque. le Dop devono rispettare tre condizioni su tre, le Igp soltanto due su tre e le Stg appena una. Ma questa semplificazione è mia e vi confesso che ho impiegato anni a elaborarla nella maniera che vi ho appena esposto. Qualora un consumatore volesse approfondire sulle fonti ufficiali cosa siano Dop, Igp ed Stg ben difficilmente ci capirebbe qualcosa. Faccio alcuni esempi.

ORIGIN ITALIA

L’associazione dei consorzi di tutela delle indicazioni geografiche, Origin Italia, se la cava pubblicando sul proprio sito le definizioni ufficiali prese dal regolamento Ue 1151/2012 che paiono scritte, però, per non farsi capire. Eccole.

Con la dicitura DOP Denominazione di Origine Protetta si intende:
“il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare: originario in tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese le cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani, e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nella zona geografica delimitata”.

Con la dicitura IGP Indicazione di Origine Protetta si intende:
“il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare: come originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e del quale una determinata qualità, la reputazione o altre caratteristiche possono essere attribuite a tale origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengano nell’area geografica determinata”.

Sfido chiunque a capire quali meccanismi mettano in gioco queste definizioni. Fattori naturali e umani? Qualità? Reputazione? Di cosa si parla? E nulla sulla materia prima.

IL MIO CIBO, LA TUA CONFUSIONE

Non va meglio con il sito ilmiocibo.it, iniziativa per altro lodevole, frutto di una collaborazione fra Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura (Coldiretti) e Ministero della Salute. Nella pagina dedicata a Dop, Igp ed Stg compare infatti una infografica che ricalca purtroppo l’impostazione europea. Eccola.

 

infografica Dop Igp Stg

L’infografica che compare sul sito ilmiocibo.it

Certo, si parla di «legame (più forte nella Dop e meno forte nella igp) tra prodotto e territorio», ma quale sia questo legame non è per nulla chiaro.

TOPPA ANCHE WIKIPEDIA

Perfino Wikipedia non fa meglio e scimmiotta le definizioni comprese nel Regolamento Ue 1151/2012. Ecco cosa scrive a proposito della Dop:

L’ambiente geografico [a cui sono legate le Dop, ndA] comprende sia fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali), sia fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità, savoir-faire) che, combinati insieme, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva.

E la materia prima? Per le Dop è dirimente e come abbiamo visto la sua provenienza è la caratteristica che le differenzia dalle Igp. Pure in questo caso sfido chiunque a capire fino in fondo le differenze fra le indicazioni geografiche descritte.

L’INFOGRAFICA DEL CASALINGO DI VOGHERA

Per semplificare la vita ai miei lettori ho realizzato una infografica per riassumere schematicamente il meccanismo delle tre caratteristiche il cui rispetto totale o parziale differenzia le tre indicazioni geografiche. Eccola.

differenze Dop Igp Stg

L’infografica del Casalingo di Voghera su Dop, Igp, Stg

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