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Dal nulla del Vietnam alle metafore raffinate della Corea. Viaggio fra i padiglioni dell’Expo

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Divertenti, ermetici, banali, istruttivi: i padiglioni dell’Expo rappresentano l’occasione forse unica e irripetibile per entrare in contatto con le culture alimentari del mondo. Ma soprattutto sono la porta d’ingresso per capire la visione dei singoli Paesi e delle organizzazioni presenti rispetto al tema dell’esposizione universale: nutrire il pianeta.

Fortunatamente per gli organizzatori – forse un po’ meno per bar, ristoranti e locali milanesi – la kermesse di Rho sta diventando un fenomeno sociale. La decisione di prolungare dalle 23 a mezzanotte l’apertura si deve al boom di accessi serali. Dalle 19 l’ingresso costa appena 5 euro e un numero crescente di visitatori, in prevalenza lombardi, ai locali della movida milanese preferisce quelli dell’Expo. Vedremo gli sviluppi.

Come promesso ai lettori del blog inizio a pubblicare le recensioni dei padiglioni. In questa prima puntata mi occupo di Belgio, Vietnam, Corea del Sud e Malaysia.

Belgio

Un po’ didascalico ma convincente. Nel complesso un padiglione ben organizzato. Il primo impatto riflette la suddivisione del Paese tra fiamminghi e valloni, a rimarcare quel che ha sancito la riforma costituzionale del 1993: i belgi vogliono sottolineare la natura federale del loro stato. Così, all’ingresso della struttura campeggiano tre edicole gigantesche, distinte da un netto contrasto cromatico: Wallonia rosso, Fiandre giallo e Brussels (scritto alla fiamminga) nero antracite.

Nella prima sala una serie di monitor raccontano il Belgio a tavola: l’agricoltura, la gastronomia, la sicurezza alimentare. Nulla di sconvolgente. Uno scivolo illustrato con le cifre del mondo (popolazione, emissioni di Co2 ecc) porta ad una sala sotterranea con le colture idroponiche disposte su mulini rotanti. Una soluzione interessante, non saprei dire fino a che punto vantaggiosa. Risalendo nuovamente al piano terra una sala «a bolla» offre numerose postazioni per approfondire i temi del primo salone.

Il tema dell’esposizione è svolto diligentemente, in maniera forse un po’ troppo scolastica. Padiglione nel complesso vivibile. Al bar interno prezzi abbordabili: una bottiglietta di minerale si paga un euro e cinquanta.

Tabellino BELGIOVietnam

Troppo brutto per essere vero. Non tanto architettonicamente, anzi: i materiali e le linee estetiche del padiglione sono fra i più green. Ma il resto è un disastro. Nel padiglione vero e proprio non c’è praticamente nulla che riguardi direttamente l’alimentazione. Su schermi grandi quanto un televisore digitale domestico di medie dimensioni è visibile un documentario sul Paese del sudest asiatico. Immagini che nel contesto dell’Expo diventano insignificanti, scialbe. Trasporti, qualche campo, industria, artigianato. Noiosissimo. L’effetto ricorda quei documentari commissionati dalle Camere di commercio e che nessuno vede se non chi li realizza. Personale trasandato, distratto e visibilmente fuori posto. Un’addetto riposa su una panca di un attiguo fast food. In ciabatte.

  • Padiglione Vietnam all'Expo 2015

In esposizione prodotti dell’artigianato, sculture e soprammobili. Al primo piano alcuni manichini (uno privo di una mano) «sfoggiano» abiti tradizionali vietnamiti di fattura grossolana. Trasandato pure il laghetto che circonda l’installazione.

Una dimostrazione di come si possa mettere in scena il nulla. Esco con una certezza: se tutti i padiglioni fossero come questo i visitatori sarebbero autorizzati a prendere d’assalto il botteghino per farsi rimborsare il biglietto.

Tabellino VIETNAMCOREA DEL SUD

Da vedere assolutamente. Un percorso originale e ricco di metafore raffinate per descrivere il senso del cibo, secondo i coreani e la loro visione sul futuro dell’alimentazione. Denso di suggestioni, è un racconto per immagini, alcune di grande effetto con alcune provocazioni, come quella dei robot industriali che danzano abbracciando monitor giganteschi su cui si susseguono immagini di fiori e vegetali. Protagonista assoluto è l’hansik, il cibo in coreano. A partire da quello conservato nelle tradizionali giare, dove per secoli gli abitanti delle penisola immagazzinavano spezie, condimenti, conserve di ogni tipo. E le facevano fermentare. Uno slow food, dichiarato come tale, frutto di una tradizione millenaria a cui la tigre asiatica si richiama per riaffermare l’originalità della propria cultura gastronomica.

  • L'ingresso del padiglione coreano

Di grande effetto anche la sala delle giare tradizionali, gli onggi, reinterpretate in chiave digitale: una sfida ai sensi e alle tre dimensioni che culmina con il cielo che emerge dai contenitori di terracotta. Il percorso è preceduto da una serie di cartelli, a riportare il focus del percorso sul tema della kermesse di Rho: «Come si può nutrire il Mondo?».

Gradevole l’atmosfera, gentilissimo il personale, pronto a soddisfare le curiosità dei visitatori. Il percorso si conclude con la discesa al piano terra da una scala elicoidale fasciata di vegetali. Qui si trovano un negozio di souvenir, una tavola calda e un ampio ristorante con prezzi abbordabili. Esco dal padiglione facendomi una promessa: devo assolutamente tornarci per assaggiare l’hansik.

Tabellino COREAMALAYSIA

Il tema del padiglione malese è ambizioso: verso un’ecosistema alimentare sostenibile. Deludente lo svolgimento. L’esperienza ricorda quella dei un luna park anni Ottanta. A una sala con effetti speciali molto coinvolgenti (l’organizzazione italiana dell’Expo li definirebbe «immersivi») su flora, fauna e agricoltura locali segue un dozzinale filmato sugli animali del Boreo: un rendering animato che non stupirebbe neppure gli scolari della prima elementare. Consiglio per gli autori malesi: dare un’occhiata ai documentari di National Geographic Channel e adeguarsi. Lo standard è quello.

  • Il padiglione malese all'Expo

Ma è alla quarta sala, dopo il corridoio delle lucciole digitali che interagiscono con i visitatori, che arriva il pezzo forte: una chimica italiana, l’unica di tutto lo staff, aspetta i giornalisti a braccia aperte (in senso figurato, eh) per tessere le lodi dell’olio di palma. Già, proprio lui, l’imputato numero uno del momento in fatto di non sostenibilità ambientale e salubrità. L’obiettivo è quello di convincermi che il grasso vegetale ottenuto dalla palme è un vero toccasana, ha un punto di fumo molto alto, attorno ai 240 gradi. E soprattutto le coltivazioni dedicate alla sue produzione, in Malaysia, non stanno intaccando l’ecosistema, come sostiene la stampa occidentale. Amen.

Esperienza poco coinvolgente. Tutto odora di artefatto, un po’ come i tunnel dell’orrore alle giostre di periferia. Percorsa una ripida scala abbarbicata sull’ultima sfera del padiglione, scendo al piano terra dove mi imbatto in una tavola calda con prodotti locali. Solo posti in piedi, atmosfera da bar delle stazioni ferroviarie sulle linee poco frequentate. Il giro finisce qui. Per ora.

Tabellino MALAYSIA

 

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Le Terme di Salice a Massimo Caputi

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Massimo_caputi_Terme_di_Salice

Massimo Caputi, classe 1952, ingegnere civile, è il nuovo proprietario delle Terme di Salice, che ha rilevato all’asta martedì 13 luglio presentando un’offerta di un milione e 570mila euro. Si chiude così la vicenda del crac da 10 milioni di euro che portò alla dichiarazione di fallimento dello storico stabilimento termale da parte del Tribunale di Pavia tre anni or sono.
Pochi giorni fa Caputi si è aggiudicato il Nuovo Hotel Terme per una cifra di poco superiore ai 900mila euro.

Ma chi è il nuovo padrone delle Terme di Salice? Dire che possiede quelle di Saturnia – vera e propria meraviglia del benessere – e che recentemente ha rilevato dal Montepaschi il 47% di quelle di Chianciano è riduttivo. Senza dubbio Caputi, abruzzese di Chieti, ha competenza e capacità in abbondanza per rilanciare in chiave moderna il termalismo, dato per morto frettolosamente, assieme ai vecchi frequentatori degli stabilimenti termali. Quelli che li affollavano fino agli anni Ottanta, sottoponendosi a inalazioni, humages, nebulizzazioni e fanghi. Già, perché Caputi è un capitano di lungo corso dell’imprenditoria italiana. Negli ultimi trent’anni è transitato in molte delle aziende assurte a vario titolo agli onori delle cronache. Economiche e non solo.

DALLE STAZIONI ALLE BANCHE

Amministratore delegato di Grandi Stazioni, gruppo Ferrovie dello Stato, dal 1996 al 2002, dall’aprile dell’anno successivo al maggio 2006 è consigliere d’amministrazione della Banca Montepaschi di Siena. Nel frattempo – precisamente nel febbraio 2002 – assume la carica di amministratore delegato di Sviluppo Italia (ora Invitalia). Carica che mantiene fino all’ottobre 2005.

Massimo Caputi

Massimo Caputi, classe 1952, abruzzese di Chieti, è uno dei protagonisti indiscussi della finanza immobiliare italiana

Nel dicembre 2008 viene nominato vicepresidente del consiglio di amministrazione di Banca Antonveneta, entrata a far parte, proprio quell’anno, del gruppo Montepaschi, prima di essere incorporata dall’istituto senese cinque anni più tardi.
Dal maggio 2013 all’ottobre 2015 è vicepresidente esecutivo della Prelios, la ex Pirelli Real Estate. La salva da una fine ingloriosa, facendone una società modello.

IL SALVATAGGIO DELLA FIMIT

Consigliere di amministrazione della Luiss (2004-2007) e della Marzotto (2006-2007), qualche anno prima, per la precisione nell’agosto 2000 Caputi arriva alla Fimit, società di gestione del risparmio del Mediocredito Centrale e la salva dal disastro, raddrizzandone le attività e i conti. Vi resta fino al 2007 per poi rientrarvi l’anno successivo e guidarla fino al 2011. Nel 2001, da ceo di Fimit, lancia il Fondo Alpha, primo fondo immobiliare quotato in Borsa.

Dal 2017 Caputi è presidente delle Terme di Saturnia, acquisite da Feidos, società di specialisti di cui è il maggiore azionista, assieme al fondo speculativo americano York Capital. A febbraio 2021 rileva il pacchetto di maggioranza delle Terme di Chianciano, dove sta mettendo mano al portafoglio per un rilancio indispensabile.

IL POLO DEL BENESSERE

Ora Salice Terme. Con l’acquisto del Nuovo Hotel e dello storico stabilimento termale Caputi – che è anche presidente di Federterme – ha messo assieme i tasselli di quello che potrebbe presto diventare il principale polo del benessere d’Italia. Archiviato il vecchio termalismo sociale, basato sulle convenzioni con enti pubblici come Poste e Ferrovie – che garantivano centinaia di migliaia di clienti l’anno alle terme di tutta Italia, grazie alla diaria che copriva buona parte dei costi di soggiorno – i nuovi modelli di business per le attività termali devono mettere in gioco funzioni diverse da quella puramente curativa. La sfida per il rilancio delle Terme di Salice da parte di Caputi – conosciuto come uno dei maggiori protagonisti della finanza immobiliare italiana –  non può che partire da qui.

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La doppia fregatura degli insetti a tavola

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Foto in primo piano di Simon da Pixabay

Gli insetti rischiano di togliere spazio ai campioni del made in Italy a tavola. E costano cari come il fuoco.

La Commissione europea ha dato il via libera alla commercializzazione delle larve essiccate di tenebrione mugnaio, la tarma della farina.  Il comitato sulle piante, animali, cibo e mangimi, composto da rappresentanti degli Stati membri e della Commissione, ha annunciato il disco verde  all’atto giuridico che autorizza l’immissione sul mercato delle larve di Tenebrio molitor – questo il nome scientifico – per l’alimentazione umana. In realtà si trovano in commercio da alcuni anni, assieme a grilli, scorpioni e perfino tarantole e sono facilmente acquistabili sul web. Ora rischiamo di trovarli perfino sui banconi del supermercato.

In realtà manca ancora l’ultimo passaggio. La Commissione Ue deve emanare un atto attuativo, in pratica un decreto, che ne disciplini allevamento, lavorazione, confezionamento e vendita. Ma è questione di poco tempo anche se per l’Europa la carica degli insetti commestibili  parte da lontano, precisamente dal 1997, quando Bruxelles approvò il regolamento 258 sui novel food.

La nuova norma Ue abrogherà pure la circolare emanata nel 2018 dall’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin che bloccò la commercializzazione degli esapodi in Italia, proprio in attesa di specifiche norme europee (qui il link all’articolo).

L’EQUIVOCO DELLA FAO

Secondo la Fao, come ricorda la Commissione, l’uso degli insetti come alimento per l’uomo «è particolarmente rilevante nel XXI secolo» a causa del «costo crescente delle proteine animali, dell’insicurezza alimentare, della crescita demografica e della crescente domanda di proteine da parte delle classi medie». Tutti argomenti condivisibili sulla carta, ma che in realtà nascondono equivoci ed errori di valutazione. Intanto il costo delle proteine animali non è aumentato ma è sceso negli ultimi 50 anni. Inoltre quasi tutti i Paesi europei, per lo meno i maggiori, sono alle prese con problemi di denatalità. E gli esperti prevedono per il 2021 un vero crollo demografico in quasi tutta Europa. Dunque i motivi secondo i quali per la Fao è giusto mangiare gli insetti da non non sussistono.

Larve di tenebrione

Eppure per la Commissione europea bisogna trovare «soluzioni alternative all’allevamento convenzionale», perché «il consumo di insetti contribuisce positivamente all’ambiente e alla salute» e «agevola il passaggio a diete salutari e sostenibili». Una posizione che non capisco. Nei Paesi dove vermi e cavallette costituiscono da sempre una fonte di cibo, forse sarà anche così. Da noi fatico a immaginare come l’allevamento di tenebrioni possa cambiare la sorte della nostra salute. Eppure in Horizon Europe, il programma per la ricerca destinato a durare fino al 2027, «le proteine basate sugli insetti sono considerate una delle aree chiave di ricerca».

Argomenti, quelli della Ue che non condivido. Mi guardo bene dal portare sulla mia tavola una larva di tenebrione, fresca o essiccata che sia. Intanto perché mi fa ribrezzo. E poi perché la cultura alimentare è anche frutto di scelte politiche. La nostra dieta è quella che ha fatto di noi uno dei popoli più longevi del pianeta. È fatta di tradizioni millenarie che vanno difese e preservate.

IL BORSINO DEGLI ESAPODI

Senza contare che quando arrivano sulle nostre tavole gli insetti costano cari come il fuoco. Fra le tante varietà, i tenebrioni sono quelli che si pagano meno, ma nella migliore delle ipotesi costano 50 euro al chilogrammo. Volendo invece assaggiare dei grilli si può acquistare una busta da 15 grammi di ortotteri cotti e disidratati, ma bisogna spendere 5 euro. Che al chilogrammo fanno oltre 333 euro. Non parliamo delle rarità. Per una tarantola al forno, venduta in scatola, si pagano 7 euro (466 al chilo), mentre due scorpioni neri d’allevamento (3 grammi l’uno) vengono 7,10 euro. Per un chilo di scorpioni ci vogliono 1.183,33 euro. Poco meno del caviale.

Chi volesse «risparmiare» – si fa per dire –  può buttarsi sulla farina di baco da seta che costa «appena» 195 euro al chilogrammo.

  • quanto-costano-gli-insetti-a-tavola
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Foto in primo piano di Simon da Pixabay
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Il boicottaggio dei prodotti tedeschi? Una sciocchezza

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Gira vorticosamente su Whatsapp una catena che invita a boicottare i prodotti tedeschi. Il messaggio è scritto maluccio e i contiene parecchie imprecisioni al punto che, prendendo alla lettera le esortazioni dell’autore si rischia di danneggiare anche aziende localizzate in Italia e prodotti che escono dagli impianti situati nel Belpaese dove lavora personale italianissimo.

Ecco il messaggio. Lascio di proposito gli errori di sintassi.

FONDAMENTALE FACCIAMO IL KULO ALLA CULONA MERKEL e ai Crucchi
Considerato che la guerra è ECONOMICA , e Tedeschi e Austriaci non hanno intenzione, di aiutare coi soldi di tutti e cioè con Eurobond, i paesi più colpiti dell’area Euro come SPAGNA FRANCIA, ITALIA ecc. Soldi che servirebbero a curare malati, a comprare farmaci, a pagare medici, infermieri, sussidi , cassa integrazione, contributi ad aziende e lavoratori, ed attività commerciali oggi chiuse , e ogni misura di sostegno all’economia del nostro paese.
Visto che andiamo tutti a far la spesa, VI IMPLORIAMO di far crollare il fatturato delle aziende tedesche e austriache, i vantaggi saranno enormi. Il primo è per l’occupazione italiana, in secondoluogo le aziende italiane pagano tasse in Italia, molte multinazionali delocalizzano e non producono nulla in Italia, ma inviano solo i loro prodotti al nostro mercato, cioè non producono posti di lavoro in Italia.
Altre tramite un gioco complicato ma legale, pagano poche tasse, avendo sede ad Amsterdam o Paesi Bassi. Se le aziende tedesche che hanno dipendenti qui in Italia crollano, altre aziende italiane o di altri paesi assumeranno personale in Italia, quindi tranquilli. La Germania ha avuto un SURPLUS commerciale da quando è entrata in Europa, vantaggio riconosciuto da tutti gli economisti del mondo. Questo anche perchè la gran parte dei nostri politici son tutti senza palle. I vantaggi per le aziende NON GERMANICHE sarebbero enormi, Vi chiediamo di inoltrarlo a 20 persone, di cui 2 almeno fuori dalla vostra città, se ognuno di voi ci riesce in 5 minuti siamo a 400, in un ora a 8.000 persone circa, in un giorno raggiungiamo 192.000 contatti, quindi i numeri si fanno importanti. Massacriamo la Germania, senza missili, senza armi, ma con l’arma che è caratteristica di noi italiani e cioè l’intelligenza. vedi MEUCCI (inventore telefono), E.FERMI, Cristoforo Colombo, Leonardo da Vinci
BOICOTTIAMO TUTTI I PRODOTTI ELENCATI:
COLOSSI GRANDE DISTRIBUZIONE tedeschi:
ALDI SUPERMERCATI, LIDL, PENNY Market e DESPAR
Prodotti: BALSEN biscotti, YOGURT MULLER, KNORR SUGHI, HARIBO caramelle, Birra Paulaner, Edelweiss, Goldenbrau, Gosser (BAVARIA e Heineken olandesi) Red bull bevanda austriaca, Henkel group tedesca che detiene: DIXAN, BIO PRESTO, Perlana, VERNEL, PERSIL, Pril per lavastoviglie, Nielsen sapone piatti. GLISS per capelli, antica Erboristeria che è tutto meno che italiana, Breff detergenti prodotti cas,a VAPE antizanzare, HERTZ autonoleggio Ravensburger giocattoli, colla LOCTITE e Pritt, Schwarkopf shampoo e Neutromed saponi, Continental pneumatici, ROWENTA E VORKERK elettrodomestici, Marchio Bosch e Aeg Cucine Materiale per bagno edilizia Duravit, Grohe e Knauf, Villeroy & Bosch Wurth viti Junkers e Vaillant caldaie, Telefunken televisori, Osram e SIEMENS, colossi illuminazione, PUMA e ADIDAS, ESCADA e MONTBLANC, REUSCH e ULHSPORT abbigliamento sport e neve. LANGE & SONHE orologi, KTM moto Swaroski gioielli, SCI ATOMIC e il marchio HEAD Deustche bank -chi tiene i soldi lì ricordiamo che la banca ha varato 20.00 licenziamenti in tutto il mondo, in quanto attraversa una grave crisi di liquidità. Decisamente più sicuro tenere risparmi nelle grosse banche italiane.
Sui farmaci , si parla di salute e quindi siamo persone perbene e non ci permettiamo di toccare la Bayer ma se comprate un’aspirina in meno è meglio, per tutti..
DIFENDETE I LAVORATORI E LE AZIENDE DEL VOSTRO PAESE
Non ci rivolgiamo a tutti ma solo AGLI ITALIANI CHE VOGLIONO DIFENDERE IL PROPRIO PAESE, OGGI COME NON MAI
Buona Spesa a tutti E Forza Italia SEMPRE

In realtà non tutti i marchi elencati sono tedeschi e più che danneggiare i crucchi si rischia di fare dei danni seri alla nostra economia. Parto dall’inizio e ne cito soltanto alcuni perché se facessi l’elenco delle attività presenti da noi sarebbe lunghissimo.

Despar è un’insegna della grande distribuzione olandese e non tedesca, proprietarie della cooperativa Spar, con sede ad Amsterdam. Nel nostro Paese ha stipulato accordi di licenza con società italiane. Smettendo di acquistare nella rete Despar si buttano su una strada migliaia di nostri connazionali che lavorano nei punti vendita localizzati nella Penisola.

La birra Heineken è olandese ma quella che troviamo sugli scaffali dei nostri supermercati è interamente prodotta in Italia dove la multinazionale di Amsterdam ha ben quattro birrifici in cui lavorano quasi 2mila persone: Comun Nuovo (Bergamo), Assemini (Cagliari), Massafra (Taranto), Pollein (Aosta). Ma c’è di più. Heineken possiede alcuni fra i nostri maggiori marchi birrari: Moretti, Baffo d’Oro, Sans Souci, Dreher, Ichnusa, Messina, Von Wunster, Prinz e Cervisia. Tutti prodotti confezionati nello stivale. Come la mettiamo con queste etichette?

Henkel è in effetti tedesca, di Dusseldorf, e sforna prodotti per la pulizia della casa, per l’igiene personale, oltre ai collanti Loctite, Pritt, Super Attak e Pattex ma è attiva nel da noi con 5 stabilimenti da cui escono, fra l’altro, Dixan, Bio Presto, Perlana, Nelsen (non Nielsen come scritto nel messaggio) e Vernel. Nel 2016 i lavoratori italiani del gruppo tedesco erano 1.100.

Altro svarione grossolano riguarda i televisori a marchio Telefunken che dal 2006 sono prodotti su licenza dalla turca Profilo Telra Elektronik e distribuiti da noi da un’altra società turca, la Vestel. In questo caso la Germania e i tedeschi non c’entrano nulla

Fra l’altro non si capisce perché dalla lista nera siano esclusi i marchi dell’industria automobilistica tedesca: Mercedes, Volkswagen, Audi e Opel. Forse perché l’autore della campagna di boicottaggio gira su una vettura di queste marche? Chissà…

In ogni caso, prima di lanciare questi tormentoni, bisognerebbe chiedersi quali possano essere i danni prodotti. Ed è puerile ritenere che «se le aziende tedesche che hanno dipendenti qui in Italia crollano, altre aziende italiane o di altri paesi assumeranno personale in Italia», come scrive l’anonimo autore del messaggio. Se chiudono gli impianti localizzati nel nostro Paese se ne vanno a casa migliaia di lavoratori. Punto.

Fra l’altro chi ha lanciato il boicottaggio ignora del tutto che Germania e Olanda sono fra i maggiori esportatori nella Penisola di materie prime alimentari che la nostra industria di trasformazione lavora e vende con marchi italianissimi.

Forse, anziché lanciare anatemi sarebbe meglio invitare i nostri consumatori a cercare i prodotti 100% Italia. È più facile, si è sicuri di privilegiare il lavoro e la creazione di ricchezza sul suolo nazionale e non si rischiano gravi danni collaterali. Ma visto il livello palesato dall’autore del messaggio, questo meccanismo gli sfugge sicuramente.

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